
La formula dei Ministri è ormai nota: basso, chitarra, batteria, voce ed emozioni da mettere in piazza, per cercare di snocciolare in modo più o meno contorto la realtà che ci circonda.
La penna di Federico Dragogna stavolta si appunta soprattutto sul tema che più ha caratterizzato questi ultimi anni: lo stato della cultura, della scena musicale, che è diventata qualcosa di sempre più “digitale” e di sempre meno fisico, qualcosa di poco impattante rispetto alla società (“Scatolette” e “Documentari” parlano proprio di questo) e quindi di omologato e di poco rischioso.
Questo disco sembra essere la risposta della band milanese, un modo per tornare ad uscire fuori e a suonare sui palchi di fronte a quel pubblico di fedelissimi che si sono ormai conquistati e che apprezza il loro sound a cavallo tra rock e ballate malinconiche (anche in questo disco è impossibile non farsi conquistare da “Domani parti” o dai primi accordi alla Cure di “Numeri”, che poi però diventa tutt’altro).
I Ministri provano a rispettare i “Giuramenti” fatti a se stessi e a non tradirsi: questo è un disco per loro stessi e per chi li ama da oltre 15 anni e, da questo punto di vista, non poteva essere più azzeccato e fedele a ciò che sono loro, sopra e sotto il palco.
