
Alessandro Fiori è più di un cantautore, Alessandro Fiori è un poeta, e quando uno è un poeta gli bastano poche pennellate per dipingere quadri immaginifici che si trasformano in canzoni straordinarie, anche da piccole scene di vita quotidiana. Mi sono perso nel bosco contiene 12 dipinti ad olio, anzi a biro, su tela del Fiori più quotato (in verità 11 suoi e uno di Luca Caserta), 12 canzoni in cui la vita si è semplicemente plasmata sui versi del cantautore aretino e si lascia guardare e sognare attraverso il caleidoscopio dei suoi occhi, in musica.
E il filo conduttore della vita è l’amore e Fiori ce ne illustra le sfaccettature, i rituali, i vezzi e perfino anche le sfumature più cupe in un susseguirsi di brani che ci fanno ondeggiare dalla commozione, al sorriso, in un tourbillon di emozioni che alla fine semplicemente lasciano atterriti. Questo disco è così bello che lascia atterriti, ecco.
Se la title track è a suo modo dantesca, con quell’atmosfera sospesa e nebbiosa del bosco in cui Fiori (e noi con lui) si perde e da cui viene “estratto” dalla persona amata, con “Io e te” già si entra in quel modo unico che ha Alessandro di comporre, quella capacità di rendere la vita di ogni giorno di struggente bellezza; così questo duetto con Dario Brunori ammanta di magia la “semplice” quotidianità di un amore. In “Amami meglio” (in cui compaiono il sax di Enrico Gabrielli e i cori di Colapesce) torna il Fiori stralunato, quasi favolistico, tra ricordi d’infanzia e paesaggi casentinesi che sembrano surreali ma sono in realtà molto reali. La successiva “Buonanotte amore”, con quello splendido harmonium che fa bella mostra di sè lungo tutto il brano, ci tratteggia un quadro estremamente lucido sulla fine di una relazione, senza troppe recriminazioni.
Con “Stella cadente” si torna a sognare a ritmo di valzer e ad aver voglia di innamorarsi, prendendo il coraggio a quattro mani, proprio come una stella che ha il coraggio di cadere invece che rimanere sempre appesa al cielo. In “Fermo accanto a te” i due ex Fiori e Levante tentano un riavvicinamento, muovendosi però anche vocalmente su due ritmi diversi, il che fa capire quanto tornare insieme sia invece impossibile. “Una sera” è forse il brano manifesto del disco: un amore narrato nella sua pienezza, in un lungo flashback al rallentatore. Struggente, bellissimo, totale. Un brano capolavoro, un vero cortometraggio in musica. “Pigi Pigi” è l’unico brano del disco non scritto da Fiori, ma bensì da Luca Caserta: una denuncia elegante ma puntuale di quello che è il dramma delle morti nel Mediterraneo e soprattutto di come ormai questo orrore sia stato normalizzato agli occhi del mondo. “Per il tuo compleanno” è un capolavoro di tenerezza: due amici che si scrivono su messenger e pare proprio di vederli che si tirano su di morale, strappandosi reciprocamente un sorriso. E Fiori riesce a trasmettere il tutto con una naturalezza e con quel suo tocco che è solo e indiscutibilmente suo (chi altri potrebbe scrivere versi come “Mi ha fatto bene scriverti/ e fare un po’ la vittima/ le lacrime le porto all’avis che salvo delle vite/ tanto la mia è bellissima/ ho figli da guardare/ misurano il mio tempo con dei passi cortissimi”).
“L’appuntamento” è un brano ritmato e cupo, Dalliano: atmosfere crepuscolari attraverso le quali raccontare la rielaborazione di un lutto di una persona molto cara. L’amara malinconia di “Estate” ci fa sentire tutta la “pesantezza” ma anche la forza di un amore maturo, uno di quegli amori che si guardano indietro, rimpiangendo il tempo che non tornerà, ma che allo stesso tempo non vuole arrendersi e continua a sognare, un po’ come l’amore dei nonni, che sono insieme da 50 anni e non vorrebbero alla fine essere stati in nessun altro posto, con nessun’altra persona.
La chiusura è affidata a “Troppo silenzio” una canzone che si ispira a Calderón de la Barca e anzi va oltre, dichiarando che la vita è il sogno di un sogno. Le strofe che aprono il brano sono cantate in dialetto sorsese, paese nel nord ovest della Sardegna dove è nato il padre di Fiori, e raccontano la richiesta di conforto alla nonna di un Alessandro bambino inquietato dagli incubi. I ritornelli sono cantati all’unisono con Dente mentre Iosonouncane dipinge una tempesta tardo romantica di sintetizzatori.
A 10 anni di distanza dall’esordio solista con “Attento a me stesso” e a 6 da “Plancton” Fiori si conferma un unicum nel panorama del cantautorato italiano, capace di tratteggiare visioni che sono solo sue e di regalarle in musica con la delicatezza di un moderno Gianni Rodari: perdersi nel bosco con lui è un onore e un piacere e questo disco non è, alla fine, nient’altro che la vita stessa. Che vale sempre la pena di essere vissuta, come ogni amore che vi si incontra, dal primo all’ultimo.
