
“Fading the past, building the present. Fading the idea to make music, building a new place to play. Fading a golden age, building a family. A fading band, building a friendship. Fading understanding, building fights. A fading song, another one to build. Fading egos, building better ideas. Fading rage, building beliefs. Fading best, building possible” scrivono i Korobu, parola giapponese che indica l’atto di abiurare che i monaci Buddisti imponevano ai Gesuiti nell’antico Giappone. Un termine che letteralmente significa perdere la propria fede ma in senso più filosofico e metafisico vuol dire perdersi, precipitare: è proprio con l’idea del precipitare che fa i conti questo disco, questi 8 brani che sembrano descrivere perfettamente ciò che stiamo vivendo oggi, cioè un periodo che potrebbe rappresentare una frattura nella Storia, una cesura tra ciò che era prima e ciò che sarà dopo.
Giallo (voce, basso e synth), Alessandro (chitarre e synth) e Christian (batteria e percussioni elettroniche) arrivano da Bologna e ce lo raccontano con una consapevolezza che spaventa, mescolando suoni e sensazioni che rimandano una volta agli Animal Collective, una volta ai Talking Heads, un’altra ai Can (da “Weird voices” a “Roads”, da “Get Lost” a “Interstellar”, si rischia di perdersi tanti sono i rimandi e gli incastri sonori dei Korobu), il tutto ambientato in una Germania est da guerra fredda, una cortina di suono più che di ferro in questo caso (è ciò che mi ha ispirato la splendida copertina di Ericailcane, straordinaria street artist).
Siamo di fronte ad un debutto ispirato e già maturo, un gioiello difficilmente catalogabile ma a cui va riservata attenzione, come si fa con le cose preziose.
