In “Adesso torni a casa“, suo primo EP, Marco Fracasia, 21enne torinese, ti sorprende per la spontaneità dei suoi testi; quando ci siamo sentiti per l’intervista la mia prima curiosità era capire se quella spontaneità, quella sincerità spiazzante a cui non si è (più) abituati nel mondo della musica, si percepiva anche dalle sue parole fuori dalla forma canzone.
La risposta è un granitico sì, e sentirsi dire quanto per lui stesso siano inaspettate tutte le critiche positive che stanno uscendo e non abbia ancora capito la portata dei 5 pezzi che ha pubblicato è di una bellezza straordinaria, un gigantesco punto di forza che, personalmente, gli auguro di non perdere mai.
Ciao Marco, la prima cosa che ti chiedo non può che riguardare la casa di tua nonna: è lì che hai composto il disco ed è tutt’ora il tuo studio?
Sì, esatto, mia nonna ha questa casa su due piani, a Rivoli, e ho adibito il piano di sopra, dove lei non va mai, a studio e penso proprio che rimarrà il mio habitat ancora per un bel po’, in parte per ragioni economiche, in parte perchè non voglio cambiare, mi trovo bene così.
Questi 5 brani contenuti in “Adesso torni a casa” da cosa sono nati? Io ci ho percepito un’attitudine un po’ punk, viscerale, nei testi, che però contrasta abbastanza con la parte musicale.
Sì, devo dire che è abbastanza così; i pezzi sono nati in diversi momenti devo dire, non da un unico fenomeno che ha scaturito la scrittura. Andavo molto a giornate, il periodo di gestazione del disco è stato piuttosto lungo e frastagliato.
Li hai poi rimaneggiati molto? Perchè sembrano così spontanei che verrebbe da pensare che siano nati in pochi minuti.
In realtà quando consideravo un brano chiuso non lo toccavo più, mentre è tanta la roba che ho scartato fin da subito e a cui non ho più lavorato. Devo dire che non ho rimesso mai le mani su ciò che è uscito.
La scelta di uscire con una versione solo in musicassetta a cosa è dovuta?
Guarda, in realtà non ho deciso io il formato, l’idea è di Emiliano Colasanti di 42 Records: a me l’idea è subito piaciuta, perchè preservava il senso di un qualcosa di artigianale. In ogni caso poi uscirà anche su vinile.
A proposito di Emiliano Colasanti di 42 Records, lui ha raccontato sui social un aneddoto che riguarda tua madre: è vero che lei ha scritto a Calcutta per chiedergli se questo Colasanti era affidabile?
Sì, è tutto vero… guarda la prima volta che ci siamo visti di persona con Emiliano, dopo circa 6 mesi che lavoravamo a distanza causa pandemia, non mi ha nemmeno salutato ma mi ha chiesto “oh, ma tua madre?” e io non pensavo che Calcutta gli avesse raccontato che mia mamma gli aveva scritto, invece lo sapeva… in quel momento volevo sotterrarmi, giuro.

Si sente tanto nei pezzi il tuo amore per certi suoni tipici degli LCD Soundsystem, hai altri riferimenti oltre a loro, magari nel dream pop, visto che è un mondo a cui i tuoi brani si avvicinano?
Gli LCD li adoro e ormai non è più un segreto, devo dire che mentre scrivevo i pezzi ho ascoltato tanto Weyes Blood, Father John Misty, Slowthai… anche James Blake. Insomma tutto un certo tipo di pop, perché per me alla fine è tutto pop questo, ci vedo qualcosa che li accomuna.
E i Black Midi, visto che danno il titolo a un brano?
Li ho ascoltati, ma a livello artistico non c’entrano tanto con me; sono curiosissimo però di scoprirli live, ho già il biglietto della data dell’11 maggio.
Sono usciti solo 5 brani, quanti altri ne hai nel cassetto pronti?
Sto lavorando ma ultimamente sono piuttosto pigro, ad ora ho due brani che penso di tenere e uno già lo suono dal vivo. Ancora però non ho niente di più concreto.
A proposito di “dal vivo”, ti vedremo in giro quest’estate?
Spero proprio di sì, l’idea è quella.
Torino e la provincia torinese ti hanno influenzato nella composizione?
Più a livello inconscio, direttamente direi di no. Però ci sono stati momenti in cui avevo bisogno di staccare e in quei momenti andavo sempre in dei miei posti del cuore lì in zona a camminare con la musica in cuffia, per cui penso che qualche idea sia stata partorita anche grazie a questi posti del cuore di Torino e provincia.
Dai testi viene fuori molto il tuo contrasto col mondo circostante, forse tipica dei 20 anni, una visione rabbiosa.
Sì, credo che questo tipo di pensieri rabbiosi li abbiamo tutti, sicuramente ero molto incazzato quando ho scritto i pezzi.
E dal vivo come renderai i brani, con una band?
Sì, ho già fatto due live a Torino e Roma che, non so perchè, mi sono andati bene ed ero con la band, per cui continueremo così.
Come non sai perché? Guarda che questo sound con i testi in italiano non c’era, questo EP può essere veramente un lavoro importante.
Speriamo, ci sono dei momenti in cui lo risento e non mi piace, altri in cui mi esalta. Non so giudicare.
E la prima volta che lo hai sentito finito cosa hai pensato?
Guarda quando ho sentito i master la prima volta mi sono commosso; ero in macchina con Marco Giudici, che ha prodotto il disco e ci sono arrivati i master via wetransfer: li ho voluti ascoltare subito, ci siamo fermati dal benzinaio e mi sono messo le cuffie, che erano tutte attorcigliate; Marco mi ha fatto una foto in cui avevo il telefono vicinissimo al viso proprio perché non riuscivo a slegarle, tanta era l’emozione di sentire i miei brani per la prima volta. Avevo le lacrime agli occhi.
Marco quanto ha contribuito al tuo suono con la sua produzione?
Mi ha dato tantissimo, è talentuosissimo e poi è una splendida persona. Devo dire che le demo non si discostano poi molto dai master ma lavorare con lui mi ha dato proprio tanto dal punto di vista umano e sono convinto che senza di lui sarebbe uscito tutto in modo diverso. Lavoreremo ancora insieme sicuramente.
E se dovessi trovare una parola per riassumere queste 5 canzoni quale sarebbe?
Scherzosamente ti direi “coglioni”, perché lo dico 4 o 5 volte nei pezzi. Più seriamente devo dire che mi piace la parola “onestà”, credo che sia un lavoro onesto, sincero, senza secondi fini.