
I Deadburger Factory sono un collettivo, i cui componenti storici sono i Deadburger: Vittorio Nistri, Simone Tilli, Alessandro Casini e Carlo Sciannameo. La Factory è un insieme di musicisti dagli stili e dalle esperienze tra le più variegate del nostro panorama. Per La Chiamata sono stati coinvolti venti musicisti. Otto di questi sono batteristi. Ogni brano è, infatti, pensato e suonato da due percussionisti. Le voci che si susseguono nei bravi sono molteplici e tutte estremamente personali nello stile, come nel timbro.
Il disco non è, però, solo musica è anche un prodotto editoriale di pregiatissima fattura. Come già nel precedente cult “La Fisica delle Nuvole” (2013), la musica è accompagnata da un supporto fisico composto, in ordine, da: CD digipack, miniposter, booklet di 68 pagine a colori ed una custodia in pvc serigrafato. Il tutto è disegnato da Paolo Bacilieri. Il booklet è l’oggetto che cattura subito l’attenzione con le sue pagine fitte di disegni, foto, opere, parole, riflessioni: potrebbe fare partita a sé. Dopo testi e crediti per ogni brano, specificati in maniera assolutamente millimetrica, vi sono diversi “capitoli”, che mi fanno pensare al booklet di Vitalogy dei Pearl Jam.
La musica, però, ha poco o nulla a che fare con i cinque di Seattle, ma è, invece, un melting pot di tecniche ed emozioni, tutte al servizio di un messaggio, a mio avviso, complesso e tutto da esplorare. I testi delle canzoni sono alle volte ermetici e sciamanici come in “Tamburo sei pazzo” piuttosto che diretti e dal forte impatto visivo (“Onoda Hiroo”). I sette pezzi che compongono il disco sono sufficienti a portare all’ascoltatore moltissimi stimoli. Penso sia anche quello l’obiettivo dei Deadburger Factory: stimolare e solleticare sotto molti punti di vista l’animo di chi ascolta, tocca e legge il loro lavoro.
Un pezzo che, pur nella coerenza generale del disco, si discosta dal seminato per particolare impatto è “Triptych”, rivisitazione del classico di Max Roach. L’estrosità della Factory raggiunge vette altissime con suoni dilatati, rieditati, missati secondo un gusto post-contemporaneo attualissimo. Il free jazz si mescola con la sperimentazione ed il flusso di coscienza, che ne consegue, è inarrestabile fino alla fine del pezzo.
La già citata “Tamburo sei pazzo” è il pezzo che mi ha richiesto più tempo per comprenderlo, essendo a sua volta diviso in quattro parti ben distinte. In realtà tutto il disco richiede del tempo per essere scoperto e fruito. Ed ancora lascia la voglia di un ulteriore ascolto per approfondire o scoprire altri suoni, parole, messaggi.
Il disco si chiude con la corale “Blu Quasi Trasparente”, una canzone perfetta sotto il profilo melodico, con un incedere davvero accattivante. L’alternarsi di voci diverse, inoltre, le dona una stupenda forma di melting pot timbrico.
Pur rischiando di risultare ridondante, penso sia necessario sottolineare la cura maniacale con cui è stato pensato ogni dettaglio de “La Chiamata”, che si pone come una mosca bianca in un panorama di uscite sempre meno “concrete”. I Deadburger e la loro Factory si conferma, ancora una volta, uno dei progetti più importanti sotto il profilo culturale e artistico italiano. “La Chiamata” è, dunque, il nuovo instant classic di un gruppo di culto.
(Aaron Giazzon)
