Migliori Album
(Alessio Gallorini)
Sault – Untitled (Black Is)
il 2020 è stato l’anno che è stato, e tra i mille momenti da ricordare, purtroppo, ci sarà anche l’omicidio di George Floyd, che ha riportato in primo piano il problema razziale e il misterioso collettivo britannico dei Sault lo ha raccontato con un disco epocale, tanto centrato politicamente quanto musicalmente, tra rap, r’n’b, soul. Uno di quei dischi che saranno senza tempo, perchè raccontano esattamente un momento che ha fatto storia.
Fiona Apple – Fetch the Bolt Cutters
Un disco che è un’opera d’arte e segna il ritorno di un’artista vera, capace di conferire nuovi canoni espressivi al pop in modo audace, provocatorio eppure azzeccatissimo.
Taylor Swift – Folklore
I National (leggi Aaron Dessner) e Bon Iver si alleano con la regina del pop e tirano fuori un capolavoro dando alla Swift il perfetto vestito da folk singer che non aveva mai avuto: dentro questo disco ci sono alcune canzoni gioiello come “August” o “Exile”, che ascolteremo ancora con gioia per anni e anni.
Phoebe Bridgers – Punisher
La voce di una generazione di hipster malinconici e fuori posto ovunque, che sanno fare ironia e trattare con il giusto sarcasmo qualsiasi argomento: Phoebe Bridgers, una capace di scavarti dentro con due versi e andare a colpire proprio quel punto che ti fa piangere e, subito dopo, talmente brava da saperti far sorridere della stessa cosa.
Moses Sumney – Grae
Un disco doppio, una vera e propria rapsodia che rivela le doti di un autore e interprete di livello elevatissimo, che sa muoversi tra cadenze r’n’b, jazz ed elettronica, senza mai cadere, parlando di concetti delicati come mascolinità, identità di genere, solitudine e auto-realizzazione. Un gioiello.
Migliori Debutti
Matt Berninger – Serpentine Prison
Matt Berninger mette in un angolo i suoi National e debutta come solista, sfoderando un disco che fa pensare a Nick Cave, piuttosto che a Leonard Cohen, sotto la produzione di un gigante come Booker T. Jones. Non si può non restarne ammaliati.
Bdrmm – Bedroom
Se amate lo shoegaze, questo disco vi conquisterà. Chitarre, chitarre e ancora chitarre per questi giovani ragazzi inglesi che sfoderano un lavoro solido, dalle atmosfere oniriche quanto basta e per cui già si fanno paragoni con Slowdive e My Bloody Valentine.
Working Men’s Club – Working Men’s Club
Sidney Minsky Sargeant, colui che si cela dietro il moniker Working Men’s Club, è stato capace di mescolare nel suo disco d’esordio il post-punk con l’elettronica. Dai New Order, ai The Fall agli LCD Soundsystem, questo disco vi riporterà alla mente nomi enormi del panorama musicale mondiale. Se queste sono le premesse, il futuro non potrà che essere roseo.
Moses Boyd – Dark Matter
Il jazz che fa l’amore con il grime, l’hip-hop e fa letteralmente volare su intrecci pianistici coadiuvati dai fiati. Siamo di fronte a un talento cristallino, quello di Moses Boyd, percussionista, dj, producer, capace di creare un mondo di suoni oscuro ma allo stesso tempo densissimo, di cui cadere preda è fin troppo facile.
Sports Team – Deep Down Happy
Tra il post-punk e l’indie rock (senza dimenticare accenti brit pop) ecco spuntare questi ragazzini studenti di Cambridge, con un frontman che sa unire la sfrontatezza di Iggy pop e l’eleganza dinoccolata di Jarvis Cocker. Irrequietezza e stile che si coniugano al punto giusto.
Migliori Album
(Patrizia Lazzari)
Fontaines D.C – A Hero’s Death
Bravi, sensibili e originali per un album lieve e profondo al tempo stesso. Numero uno assoluto.
Idles – ULTRA MONO
Speculari e simmetrici agli stessi Fontaines D.C., la parte di anima più ironica e punk che alberga in ognuno di noi, la risata in faccia all’oppressione di questi tempi duri.
Sault – Untitled (Black Is)
L’intensa modernità del Soul vibrante del nuovo secolo, come e più dei Fugees che furono.
Run The Jewels – RTJ4
Consapevolmente orgogliosi eredi della stagione più brillante del rap, ne raccolgono il testimone e si ritagliano uno spazio tutto loro.
Yves Tumor – Heavenn To A Tortured Mind
La colonna sonora di un nuovo mondo senza più generi né etichette, dissacrante e senza confini. Difficile da descrivere, si può (e si deve) solo ascoltare.
Migliori debutti
Moses Boyd – Dark Matter
Musicista e produttore, collaborazioni con Sampha e Little Simz tra gli altri e ora autore di uno splendido album grime-elettronico-jazz. Non poteva esserci miglior debutto.
Oscar Jerome – Breathe Deep
Elegante ed ammaliante soul-jazz di un giovane esordiente dalla capacità compositiva sorprendente.
Buscabulla – Regresa
Latino electro-soul a tinte pastello: il mondo come un globo colorato che galleggia gioioso nello spazio.
Keleketla! – s/t
Giovani musicisti di Soweto guidati dal sapiente Tony Allen con le incursioni del sax di Shabaka Hutchings di The Comet is Coming a disegnare ritmi afro-funky-dance per un collettivo che si spera non resti un progetto isolato.
Jar Vis – Beyond The Pale
Il debutto di un big come l’ex cantante dei Pulp riesce nell’intento di catturare chi, come me, fan dei Pulp non è mai stata. Un album maturo e composito con parecchi spunti, malinconicamente rock.
Migliori Album
(Mario Mucedola)
Idles – ULTRA MONO
Perché è uno schiaffo in faccia tirato con la mano ben aperta, in tempi in cui sembra si possa uscire su disco solo se sei accompagnato da una chitarrina malinconica. Gli Idles spaccano e lo sanno, lo fanno con convinzione.
Lucio Corsi – Cosa Faremo da Grandi?
Perché continua un po’ il discorso della prima posizione, con la differenza che oltre a delle Gibson furiose e testi profondi, qui abbiamo anche una certa dose di stile glam che non disturba mai.
Brunori Sas – Cip!
Perché ha rappresentato, prima della pandemia, la “dichiarazione di indipendenza” dei 30-40enni che finalmente stanno affacciandosi sul mondo con le loro paure e le loro fragilità. Siamo tutti un po’ Brunori e non lo sappiamo.
Samuele Bersani – Cinema Samuele
Perché la poesia va preservata, ed è il lavoro che sta compiendo Samuele. Dieci tracce, meno di quaranta minuti ma non c’è bisogno di scrivere un’opera infinita per lasciare il segno.
PopX – Antille
Perché il lavoro di Davide Panizza mi ha accompagnato nel lockdown, portandomi a Trento, alle Antille e nei posti esotici di “Onda” senza poter muovere il culo da casa, aiutandomi a rendere tutto più sopportabile. Gli devo un favore.
Migliori Debutti
Colapesce/Dimartino – I Mortali
Perché è difficile scrivere bene e restare credibili ed umili. Lorenzo e Antonio non solo ci regalano un disco di intensità rara ma fanno addirittura venir voglia di ascoltare il seguito. Peccato che i concerti siano stati azzoppati dal Covid, l’esperienza va comunque ripetuta.
Muzz – s/t
Perché è il disco che non ti aspettavi. Di solito queste operazioni da “superband” scadono nel commerciale e nel “guarda potevamo farne a meno”, invece la band di Paul Banks e Josh Kaufman tira fuori un disco che non ci si aspettava
Easy Life – Junk Food
Perché non è pop, non è rap, non è indie e non è jazz ma immaginate che sia tutto questo tutto insieme. E se non riesco a spiegarmi è tutto normale, basta ascoltare per capire.
Elettra – 14 minuti dentro la mia testa
Perché una voce femminile non scontata e dai testi non banali è una rarità, e le rarità vanno premiate e sostenute. Per ora è solo un EP ma lascia già intendere che le premesse verranno rispettate alla grande.
Tutti Fenomeni – Merce Funebre
Perché è un disco totalmente sconclusionato ma nella sua confusione ha una lucidità esaltante. D’altronde, quando si muove Niccolò Contessa non si può far altro che aspettarsi grandi cose.
Migliori Album
(Carla di Lallo)
Populous – W
Il disco italiano meno italiano che si possa immaginare, nei contenuti, nel sound, nei featuring, ci ha rinfrescato le calde e confuse giornate estive, ed è già pronto a rievocare i ricordi del meglio salvabile che abbiamo salvato in questo e strano anno.
Samuele Bersani – Cinema Samuele
Forse l’unico cantautore in grado di assemblare delle autentiche gemme della musica leggera italiana senza scadere mai nel ricatto radiofonico del mainstream e senza troppi ghirigori intellettuali, ma trovando il grande fascino delle cose che ci sembrano familiari mentre in realtà restano sempre da esplorare.
Laura Marling – Song for our Daughter
Quando un’artista del calibro della nostra Laura torna a farsi viva è sempre un’esperienza da non farsi scappare. La sua musica continua a crescere con lei.
Kelly Lee Owens – Inner Song
Viaggio intimo della musicista gallese per sognare e ballare tra ambient-techno e dream pop, al di sopra di tutte le sciagure di quest’annata.
Perturbazione – (dis)amore
Un graditissimo ritorno, che raccoglie in questo concept sull’amore ad ampio raggio le mille sfaccettature del pop che la band piemontese riesce a abbracciare nella classe a cui ci hanno abituati.
Migliori Debutti
Bananagun – The true story of Bananagun
Arrivano da Melbourne, coloratissimi, con il loro caldo esotico mix di psichedelia, garage e venature di afrobeat, nel loro esordio c’è tutto quello che in un esordio deve esserci: energia, idee (molte) e quel bagliore di luce primordiale che si ha quando dalla confusione un nuovo corpo celeste prende forma. Speriamo.
The Wants – Container
Un post-punk minimal e tagliente, tra Velvet Underground e the Bravery per un esordio annunciato dai singoli “Fear my society” e “The motor” che non ha deluso le aspettative, ed è sempre un sollievo per chi non vuole cedere alla credenza che il rock sia morto.
Aoife Nessa Frances – Land of No Junction
“La malinconia è la tristezza diventata leggera” e mai come quest’anno qualcosa che ci aiutasse a leggere con un po’ di leggerezza il tempo è stato vitale, come il folk pop soavemente avvolto nel mistero e nell’incanto di questa giovane voce irlandese.
Sorry – 925
Oltremanica esaltati dalla critica come non succedeva dai tempi delle grandi ondate musicali made in UK, forse complice l’aria di Brexit che vuole rinforzare la promozione di ciò che culturalmente ancora si può offrire al mondo. “I Sorry sono riusciti in qualche modo a plasmare qualcosa di immediato e accessibile ma innegabilmente a loro immagine.È un debutto davvero speciale, uno che fa strane magie ogni volta” (DIY magazine).
Sports Team – Deep Down Happy
Anche qua il luccichio dell’indie rock più garage e stonesiano illumina la speranza di un concreto futuro per il rock britannico e scalda i cuori; dopo i due ep incoraggianti, questo primo full lenght si è già meritato una nomination ai Mercury Prize. Se prima avevano la nostra curiosità, adesso è tempo che abbiano la nostra attenzione.
Migliori Album
(Antonio Capone)
Paolo Benvegnù – Dell’Odio dell’Innocenza
La poetica di Paolo andrebbe insegnata nelle scuole e questo nuovo capitolo è l’ennesima conferma, se ancora ce ne fosse stato bisogno, del magistrale lavoro iniziato nel 2004. L’album chiude idealmente un’altra trilogia, quella “Del Rosso e Del Bianco” incentrata sulle relazioni tra corpi intimi partita da Piccoli Fragilissimi Film, per passare alle Labbra e concludersi(?) con questo disco.
Idles – ULTRA MONO
Giunta al terzo disco la band inglese gioca su un’immediatezza sonica rosa pastello, una violenza gentile mai machista e su un linguaggio sempre incentrato sul qui e ora sociale che prova a diventare bandiera di una g…g…generazione che naviga senza una rotta e dal futuro disastrato!
Ulver – Flowers Of Evil
I Norvegesi sfoderano (forse) l’ultima carta in ambito synth pop dalle tonalità dark anni ’80 prima di cambiare nuovamente pelle. Assieme al precedente “Assassination Of Julius Caesar” sarebbe stato un grandioso disco doppio. Ci accontenteremo di ascoltarli in sequenza.
Zeal & Ardor – Wake Of A Nation
Questa band sono una botta assurda. Non so se esiste qualcun altro che mescola così bene blues, gospel e alt metal che spesso sfocia in derive black. Un disco con peso e sostanza specifica i cui testi attingono a mani piene nei sanguinosi fatti accaduti nei mesi scorsi in America con il caso George Floyd come bandiera di una Nazione piombata nell’oscurità.
Nothing But Thieves – Moral Panic
Sono davvero pochi i dischi rock (declina tu la corrente che più ti aggrada) con un appeal e una freschezza come quella contenuta nell’ultima fatica del gruppo inglese. Se i Muse la smettessero con barocchismi e amenità electro rock ridondanti forse suonerebbero come i NbT.
Migliori Debutti
Jehnny Beth – TO LIVE IS TO LIVE
La musicista inglese si smarca dal post punk virulento della sua band principale, le Savages, per dare sfogo alle sue pulsioni electro-pop ad alto tasso erotico (non a caso in contemporanea al disco è uscito anche un libro fotografico NSFW). Ne viene fuori un lavoro maturo e intrigante, non fa rimpiangere il suo gruppo ma anzi mette in evidenza tutta la classe di Jehnny.
Orlando Weeks – A Quickening
L’ex frontman dei defunti Maccabees racconta il suo esordio nel mondo della paternità con un album pieno di suggestioni cantate sottovoce tra Bon Iver (il primo) e Thom Yorke (l’ultimo). Delicato e denso come il sonno di un neonato.
Muzz – s/t
Negli ultimi anni siamo stati ingannati dal sostantivo “superband” per poi ritrovarci tra le mani dei lavori nemmeno lontanamente accostabili alla somma dei vari componenti, ecco con i Muzz questo non è successo. Banks, Kaufman e Barrick tengono un profilo basso per poi sganciarti addosso un disco elegantissimo quasi come i completi che indossa il frontman degli Interpol. Ad avercene band così!
The Wants – Container
Brooklyn suona post punk con questa giovane band che mostra una bella dose di qualità e intraprendenza senza fossilizzarsi sugli stilemi di un genere che sembra ogni volta aver detto tutto e che invece tira fuori l’ennesima perlina. “Fear The Society” è il pezzo manifesto, gli inserti elettronici sono l’elemento che mette i The Wants un gradino più sù rispetto agli altri. Bene, bravi, bis!
A.A. Williams – Forever Blue
Gli inediti composti per questo disco tengono fede al suo titolo: una tristezza perpetua che sposta il bacino ora su derive post rock ora su paesaggi dark.
La Williams è il canto di una Banshee tormentata, che trova un minimo sollievo soltanto nella catarsi della propria voce. (Tieni d’occhio il prossimo disco di cover)