
Matt Berninger si concede una pausa dai National e, sotto le sapienti mani di Booker T. Jones (una vera e propria leggenda) alla produzione, dà alle stampe il suo primo disco solista: Serpentine Prison è uno sguardo nell’intimità di un cantautore dalla penna fine e dotato di doti vocali da crooner che già ce lo fanno amare nelle vesti di frontman della band di Cincinnati.
I dieci brani sono uno spaccato della sua vita, dei suoi pensieri sull’amore, sulla malinconia, sulla sofferenza; ci troviamo di fronte a chi ha saputo a piene mani imparare dalle lezioni di Nick Cave (soprattutto l’ultimo) e Leonard Cohen, senza trascurare quella vena pop che ha anche la band dei fratelli Dessner.
Un disco in cui si sceglie volutamente la semplicità negli arrangiamenti, in cui la musica è un sottofondo alla voce mai banale di Berninger, che si mette a nudo e sa regalare alle parole sfumature di colore che puntualmente sanno colpire al cuore: da “Oh Dearie” a “Loved so little” fino a “Distant axis” si riescono a percepire tutte le fragilità di un uomo di oltre 40 anni che prova a fare i conti con la vita e le sue delusioni, ma anche le piccole grandi gioie che ha saputo dargli.
Alla maniera di Michael Stipe, Berninger si mette in gioco con nient’altro che la sua voce e la sua personalità e sa regalare brividi su brividi, confermandosi il cantore di chi si sente fuori posto, di chi è troppo timido, di chi si sente sempre sbagliato. Insomma Matt è quello che tutti gli insicuri aspettavano, quello da cui si sentono rappresentati e possono dire: lui parla di me. “Serpentine Prison” è un disco prezioso, senza punti deboli, che nella versione deluxe si arricchisce anche di sei brani ulteriori.
Sicuramente uno degli esordi da ricordare in questo 2020.
(Alessio Gallorini)
