
Alla fine tutto sta in quello che per noi è il concetto di punk. Se lo consideriamo ancora come il prodotto della subcultura degli anni ‘60, quella fatta di creste di colori improbabili, progressioni armoniche banali ma rumorose, borchie (a proposito, esiste ancora qualcuno che usa le borchie fuori dall’area circostante le stazioni ferroviarie?) che spuntano dalle giacche di pelle, siamo totalmente fuoristrada per inquadrare gli Idles. Se invece ne fotografiamo l’etica ribelle e anticonformista, allora possiamo focalizzare la band di Joe Talbot.
Ultra Mono, il terzo disco, musicalmente è davvero poco punk nell’accezione musicale classica, le chitarre di Bowen e Kiernan sono quasi stoner e la sezione ritmica di Devonshire e Beavis è sempre convincente ed appropriata; tuttavia si propone un album granitico fatto di temi profondi e, se vogliamo, “progressisti”: dal combattere lo spirito guerrafondaio con la gentilezza, all’accettazione di se stessi, al rigetto per la borghesia che ha di fatto stroncato le classi lavoratrici creando una distanza socio-economica incolmabile, tutti gridati dalla voce profonda di Talbot. In definitiva, se cercate un disco musicalmente convincente, allora questo degli Idles fa al caso vostro. Se cercate un disco con delle tematiche interessanti, allora questo degli Idles fa al caso vostro. Se cercate uno dei papabili per la palma di disco dell’anno, allora il disco degli Idles fa decisamente al caso vostro.
(Mario Mucedola)
Se “Brutalism” mostrava orgogliosamente i candelotti dinamitardi e “Joy as act of Resistance” ne accendeva eccitata la miccia e con “ULTRA MONO” che la deflagrazione avviene, ed è potentissima: tutto attorno si colora di rosa, le orecchie friggono e la gente guarda a bocca aperta il risultato.
Saltando a piè pari la solita storia sul terzo disco come quello della conferma con gli Idles questo concetto deraglia perché non sbagliano un colpo dall’Ep di “Benvenuto” e i dodici inediti che arrivano in questo infausto 2020 sono tutti degli “anthems” pronti ad essere cantati a squarciagola again and again and again. Inutile stare qui a citarne i titoli anche se i primi tre brani, infilati in quel modo lì, sono qualcosa che lascia davvero tramortiti come dopo un’esplosione (unica menzione va a “Ne Touche pas Moi” con Jehnny Beth delle Savages che restituisce il favore dopo che la figura di Joe si era intravista nel suo disco solista).
Talbot e soci continuano quel percorso rabbioso composto da testi politicamente schierati, scorci di vita della Suburbia inglese, uniti al senso di comunità con i fan – ma prima ancora tra gli stessi membri della band – creati da quando hanno messo i piedi su un palco gridandolo pure a gran voce (“unify/unify/unify”) senza vergognarsi del fatto che punk rock, amore e “gioia” possono e devono essere mostrati senza vergognarsi, che soprattutto il maschio bianco deve scrollarsi di dosso quel cliché patriarcale che lo vuole “duro e puro, dominante e che non deve chiedere mai”. Mostrarsi vulnerabili o, come cantava un gruppo italiano, consapevoli che “la paura dell’essere umano è la paura di essere umano”.
All Is Love sottolineano loro. Love is All suggeriamo noi.
Per il resto c’è poco altro da aggiungere a favore di un disco perfetto nella sua imperfezione, che proprio quelle sbavature (soprattutto nella voce non sempre “in riga” di Talbot) sono quanto di più eccitante si trova oggi in giro.
“Do you hear that thunder?”
(Antonio Capone)
Gli Idles da Bristol non sono più, da tempo, un fenomeno legato ad un disco specifico, piuttosto che ad una manciata di canzoni. Da circa tre anni i cinque musicisti stanno tracciando la nuova linea stilistica della musica distorta postadolescenziale europea e non solo. Sembra ieri quando Brutalism irruppe nel mercato e, partendo da un nome più che profetico, colpì duro critica e pubblico. Ad aumentare un successo meritatissimo sono stati, anche, gli irruenti show dal vivo, carichi di emozioni ed intrisi di una genuinità disarmante.
“Ultra Mono” arriva, dunque, carico di aspettative e certezze. Sicuramente gli Idles sono una band vera, sotto il profilo comunicativo, e questo é confermato dal singolo “Mr. Motivator”.
L’aspetto musicale é, forse, meno spinto rispetto al passato. Strofe post punk tirate e taglienti e ritornelli sul filo dell’implosione hardcore, che non arriva mai, sono i marchi di fabbrica della casa. Lo schema é ripetuto per quasi tutti i pezzi come a voler certificare un’attitudine nervosa, che, però non aggiunge nulla ai dischi precedenti. Anzi si limita ad una formula mai così essenziale e ristretta.
A spiccare in maniera eccelsa sono le linee vocali ed i testi di Joe Talbot, un personaggio tanto profondo ed emotivo come D.Boon dei Minutemen, quanto istrionico e, giá iconico, come Iggy Pop. I testi rivestono un ruolo fondamentale nell’estetica della band, tanto da essere giá citati spesso come esempio di comunicazione musicale contemporanea.
A differenza di tanti altri artisti che, giunti alla fama, seppur nell’underground, spingono verso la fruibilità della propria musica, da parte del grande pubblico, gli Idles restano fedeli a se stessi. Questo, però, non impedisce un certo ammorbidimento della proposta, che risulta più immediata e meno nevrotica.
(Aaron Giazzon)
