Guardarsi le scarpe, fortunatamente, è un vezzo che non è ancora passato di moda: appena partono le prime note di “Momo”, il brano che apre Bedroom (titolo volutamente esplicativo della corretta pronuncia del nome della band, Bdrmm) si capisce che siamo di fronte a qualcosa di assoluto livello in ambito shoegaze, ma direi in ambito indie in generale: via via che si scorre negli ascolti, che si resta invischiati nelle chitarre, nella romantica malinconia dei testi di Ryan Smith e ci si fa trascinare dal ritmo, ecco che saltano subito alla mente i riferimenti che la stessa band di Hull non ha tenuto segreti, The Cure, Slowdive, DIIV, Ride, Deerhunter.
I cinque ragazzotti inglesi arrivano a questo debutto dopo un primo EP (“If not, when?”) già acclamato dalla critica e, bisogna dirlo, con l’endorsement della Sonic Cathedral, che quando decide di investire su una band rappresenta una vera e propria garanzia di qualità.
Brani come “Unhappy”, “A reason to celebrate” o “Gush” sembrano scritti già da una penna matura e con un istinto melodico evidente, che evita che ci si appiattisca semplicemente sui riferimenti già citati.
I Bdrmm sembrano proprio avviati ad essere per i nostalgici dello shoegaze e di un certo dream-pop una piacevolissima epifania e la presenza al mixaggio di Heba Kadry, uno che ha già lavorato con Beach House e Slowdive, non è può che risultare un ulteriore certificato di valore.
Si arriva alla conclusione di questi dieci brani con aria trasognata, come se si fosse fatto un sonno ristoratore e placido: “Forget the credits”, la traccia finale, ne è la perfetta apoteosi, con i suoi quasi 6 minuti di slowcore che ci accompagnano al più piacevole dei risvegli.
Ma non è un sogno, i Bdrmm esistono davvero e questo disco è destinato ad essere probabilmente uno dei migliori esordi del decennio.
(Alessio Gallorini)