
Come nella vita, anche la musica spesso ha necessità di etichettare generi, musicisti, stili e ritmi, soprattutto quando la trasmissione di quello che spesso si può solo “sentire” (sia dal punto di vista fisico, hear, che da quello emotivo, feel) avviene attraverso le parole. È un bisogno di semplificazione che però, se non si sta attenti, può portare a forme di incasellamento eccessivamente rigide e talvolta discriminanti.
Ecco che allora quando più generi si mischiano si parla di crossover mentre quando la proposta musicale è extra britannica o extra-americana si parla di world music. In quest’ultima definizione si è fatto rientrare un po’ di tutto ed è un bene che questo termine negli ultimi anni sia quasi scomparso. Questa lunga premessa per dire che diventa paradossale parlare di globo quando il principale ostacolo che i 47Soul hanno dovuto superare per poter suonare insieme erano proprio i confini.
E non è un caso che l’ultimo singolo estratto dal terzo album della band, Semitics (le anticipazioni e gli estratti dei primi due singoli si trovano qui), si intitoli proprio “Border”.
Lo stesso nome della band richiama al 1947, anno in cui venne stabilito il meccanismo ripartitorio dei territori che sarebbero stati assegnati al neonato Stato di Israele e dai quali è poi scaturita la cosiddetta “nakba” (= la Catastrofe), quando molti palestinesi si trasferirono nella vicina Giordania.
La novità dei 47Soul non sta solo nel recuperare suoni tradizionali campionati nei sintetizzatori ma nell’inserirli in una cornice dubstep, da cui il loro originale sound battezzato shamstep (sham è la musica tradizionale della regione di Bilad al-Sham). A questo si aggiunga un cantato in arabo e in inglese perché, come afferma il vocalist Tareq aka El Far3i “vogliamo essere una band bilingue e siamo portati per natura a cercare di conquistare un pubblico più ampio possibile.”. Giusto per dare un’idea di cosa intendono trasmettere con la loro musica, i 47Soul raccontano che la sensazione di essere sulla strada giusta era data dal vedere i parcheggiatori e i proprietari delle macchine, il cliente e il cameriere, ballare e cantare insieme all’interno del locale (consiglio la visione di questo breve ed interessante video per conoscere meglio i membri della band).
“Semitics” è stato registrato a Londra, dove la band ha vissuto per un periodo e che frequenta ancora assiduamente, e vanta collaborazioni molto originali: “Border”, un hip hop insolito e coinvolgente con un efficace cantato misto arabo/spagnolo/inglese dove si alternano, oltre a Tareq, il rapper anglo-palestinese Shadia Mansour e l’Mc tedesca/cilena Fedzilla; “Run”, in cui The Synaptik (giovane rapper giordano/palestinese dalla voce profonda) e Tamer Nafar (fondatore dei DAM, il primo gruppo palestinese hip hop) plasmano le loro voci sui ritmi della musica beduina; e la trascinante “47 Cocktail” che vede la presenza determinante di Hasan Minawy, polistrumentista che ha inventato il Minawy Straw (uno strumento musicale costituito da una semplice cannuccia); strumenti acustici originali sono adagiati su una base elettronica circondata da un alone ipnotico di seducenti ritmi tribali. E infatti la band definisce questo pezzo come “the first 47SOUL pure dabke track”.
E poi i ritmi rallentati di “Arab Arab” i cui contorni sono definiti da un beat di origine siriana e “Lil Step”, forse quella più “occidentale” dell’intero album e la più dubstep in senso puro.
“Semitics” è un album denso, ricco di spunti di riflessione sia dal punto di vista strettamente musicale (ogni riferimento ad altri gruppi o a generi tradizionali apre un mondo sonoro davvero senza confini) che culturale (i testi fanno riferimento alle guerre israelo-palestinesi, alla necessità di distruggere le barriere tra le persone e a favorire la circolazione delle idee).
E possiamo definirla world music solo perché si rivolge davvero a tutti, senza distinzione di… (ognuno scriva a piacimento). Jalla, Jalla!
Qui sotto i due nuovi singoli estratti (“Border” e “Run”), la tracklist e qui il pre-order dell’album.
(Patrizia Lazzari)
