Mettetevi comodi e prendetevi del tempo per leggere questa intervista. Fior fiore di manuali sostengono che nelle interviste vada tagliato solo il superfluo e nella chiacchierata che abbiamo avuto modo di fare con Lorenzo e Antonio, cioè con le due anime artisticamente conosciute come Colapesce e Dimartino c’è stato davvero poco di futile o non interessante. All’indomani dell’uscita del loro album “I Mortali”, uno dei dischi più interessanti di questa prima metà dell’anno, abbiamo voluto toglierci qualche dubbio, chiedere loro qualcosa e questo è il risultato.
Come siete riusciti a far convivere le atmosfere più beat, più anni ’60 con pezzi come “Adolescenza nera” e soprattutto “Parole d’acqua”, dal taglio decisamente più moderno?
Colapesce: Guarda, è stato tutto un work in progress. La scrittura mia e di Antonio ci porta ad essere più classici, siamo molto influenzati dalla musica che abbiamo ascoltato. Il nostro background è molto incentrato sulla musica degli anni ‘60 e ‘70 però non ci piaceva fare un disco semplicemente di maniera o citazionista e quindi è venuta fuori una produzione più moderna, come in “Adolescenza nera” che poi in realtà se ci pensi, se la vai a scarnificare, è un gospel, ha proprio tutti i canoni del gospel, soltanto che la produzione è ipermoderna perché abbiamo utilizzato un vocoder, dei beat elettronici, però anche lì la struttura è classica, però ci piace essere collegati con la contemporaneità, non mi piacciono molto i dischi che citano e basta, i dischi di maniera.
Dimartino: In realtà non ci eravamo detti a priori quale doveva essere la sonorità del disco. Volevamo che alcune canzoni suonassero moderne anche laddove si prestavano ad avere delle venature quasi anni ‘60, per cui in realtà poi è uscito un disco omogeneo perché lo abbiamo reso tale, cercando di avvicinare i pezzi che suonavano un po’ più “antichi” per melodia o per armonia con un sound un po’ più moderno. È stato il lavoro di supervisione che abbiamo fatto sul lavoro di tutti i produttori che lo ha reso coeso.
Il delizioso live streaming che ha accompagnato l’uscita del disco, e che ci ha accompagnato in altrettanto deliziose atmosfere siciliane, verrà ripubblicato?
C: Si, lo pubblicheremo a breve per intero, abbiamo fatto delle ulteriori modifiche audio per migliorarlo. Stiamo discutendo in questi giorni, insieme ai nostri collaboratori, in che forma pubblicarlo ma probabilmente lo vedrete presto su Youtube. o forse lo daremo in anteprima a qualcuno, stiamo valutando insieme ai nostri collaboratori.
Manuel Agnelli undici anni fa cantava che “Milano non è la verità”, che è un po’ il messaggio che passa da “Il prossimo semestre”, che è uno sfottò all’omologazione del mondo musicale italiano. Trovate che sia davvero un mondo così ripiegato su se stesso e i suoi cliché o esistono ancora spazi in cui possa risaltare l’espressione artistica autentica?
C: “Il prossimo semestre” non è esattamente uno sfotto, è più una metacanzone che racconta di alcune dinamiche che ormai sono dei cliché e fanno sorridere del mondo dell’autore, che è il lavoro che facciamo a prescindere dalle nostre carriere da artisti individuali. Ci piaceva l’idea di raccontare questo mondo che si, a volte è anche un po’ patetico perché ha poco a che fare con l’ispirazione pura ma ha molto a che fare con la testa e con il calcolo. Ci sembrava interessante approfondire quell’aspetto, poi ci è venuta subito in mente “Il merlo” di Piero Ciampi, anche quella è una metacanzone in cui lui parla col merlo e gli chiede di cantare una melodia avvincente così può portarla al suo editore, perché è senza una lira e così evita di mangiarsi l’animale. Rifacendomi alla domanda, c’è sempre spazio per un’espressione artistica autentica, c’è e sempre ci sarà, bisogna saper distinguere l’intrattenimento dall’artisticità dei progetti che sono due cose che se non vengono pesate tendono ad appiattire e portano a fare parallelismi a volte anche pindarici che non aiutano l’arte in generale.
D: Io credo che ci sia la possibilità che possa ancora risaltare l’espressione artistica autentica, certo devo dire che negli ultimi mesi il Covid ha lacerato il mercato dell’underground, che è quello che ne sta risentendo di più a livello di crisi. Se non ci sono le band che vanno in giro a suonare, che stanno in sala prove a provare, che partono dal basso e creano dei movimenti dal basso, tutta la scena musicale viene penalizzata. Per quanto mi riguarda ci ho sempre creduto, credo sempre nelle esperienze personali che in qualche modo diventano esperienze collettive. Credo molto al fatto che comunque la musica si può salvare soltanto partendo dall’autenticità e che tutte le esperienze discografiche nate a tavolino siano in qualche modo destinate ad avere una vita breve.
Avevate un tour teatrale in programma, ma poi le cose hanno preso una direzione diversa. Lo state riprogrammando in funzione delle nuove regole o state studiando qualche altra soluzione per tornare a suonare dal vivo?
C: Suoneremo dal vivo quest’estate, da agosto, con una configurazione diversa rispetto al tour che avevamo pensato per marzo e che poi non abbiamo potuto fare per le cause che sappiamo. Intanto faremo questo tour che non è un ripiego ma è un altro punto di vista sul disco, suonato in trio con Alfredo Maddaluno alla batteria. Poi invece probabilmente riprenderemo il discorso con la band al completo ma credo ormai per il 2021, però navighiamo a vista.
NDR: Questa domanda era stata posta prima dell’annuncio del tour estivo dei due. Le prime date, a cui sicuramente se ne aggiungeranno delle altre sono: il 12 agosto al Color Fest di Lamezia Terme (CZ), il 13 agosto al Locus Festival di Locorotondo (BA), il 23 agosto al Meeting del Mare di Marina di Camerota (SA), il 5 settembre alla Cavea dell’Auditorium Parco della Musica di Roma, l’11 settembre all’Arena Puccini di Bologna, il 12 settembre al Teatro Romano di Fiesole (FI) e il 26 settembre a Villa Bellini a Catania.
In “Rosa e Olindo” mettete in musica una pagina di cronaca nera ribaltandola e raccontandola come se si trattasse di cronaca rosa, mettendo l’accento sul sentimento dei protagonisti. Com’è nata questa idea?
D: L’idea di “Rosa e Olindo” nasce dalla voglia che avevamo io e Lorenzo di scrivere una canzone d’amore in cui non ci fossimo noi, una canzone che riguardasse la storia di altri e naturalmente non c’era la voglia di prendere una posizione rispetto a due condannati per un omicidio, non prendiamo in alcun modo le loro parti. Però ci piaceva proprio l’idea di esplorare l’amore visto da due assassini, ci aveva emozionato un po’ anche questa tenerezza che si mostravano durante il processo e il fatto che Olindo avesse detto che desiderava avere una cella matrimoniale per trascorrere l’ergastolo con la moglie. Questa cosa ci ha stimolato a scrivere la canzone, l’amore che supera le condanne penali. E poi c’è un esigenza che abbiamo tutti e due ed è quella di porre delle domande all’ascoltatore, di metterlo in difficoltà, in soggezione. La canzone deve creare un dialogo, deve stimolare un dibattito.
“L’ultimo giorno” parte dall’immagine di una coppia che si saluta per rivedersi chissà quando. Poi è successo che questa canzone, uscita prima della pandemia, si sia di fatto concretizzata per svariate coppie. Pensate che ora questo pezzo abbia acquisito più importanza? Avete qualche altra previsione da fare?
C: (ride) Tutto era stato deciso prima, il disco era chiuso già a gennaio poi quando è scoppiata la pandemia anche altri brani hanno assunto una dimensione quasi profetica, dal titolo stesso “I mortali”, che evidenzia con forza la fragilità dell’uomo in questa situazione. “L’ultimo giorno” sicuramente ha acquisito in quei giorni una luce nuove che non avevamo assolutamente pensato durante la registrazione del disco.
D: “L’ultimo giorno” è una canzone nata in realtà molti anni fa ed è uscita il 24 gennaio, in un momento assolutamente insospettabile ed ha assunto un altro significato per chi ce l’ha voluto vedere. Per quanto mi riguarda è una canzone che parla della storia di due adolescenti che si salutano nel modo più classico possibile, all’interno di una stazione e quindi in realtà, se si vuole si può vedere il lato de “L’ultimo giorno” come legato alla mortalità, all’idea di poter perdere tutto in un istante, idea sempre legata all’adolescenza. L’idea della morte e dell’adolescenza sono collegate perché l’adolescenza è il momento in cui la morte sembra essere la cosa più lontana; l’adolescente non pensa mai che la morte potrebbe arrivare all’improvviso, per cui è una canzone che già in sé aveva un seme apocalittico.
“Luna Araba” è un atto d’amore nei confronti della vostra terra, scevro di quella retorica territorialista che assassina tutti i prodotti “locali”. Cosa vi ha spinto a cantare la Sicilia toccandone la prospettiva storica? E che valore ritenete abbia aggiunto Carmen Consoli al brano?
C: Si, “Luna araba” è un brano che sicuramente ha molto a che fare con la Sicilia, è tutto ambientato nella nostra terra e abbiamo voluto evitare tutta la parte dei cliché da cartolina che si ha in genere della Sicilia. A noi piaceva l’idea si di mettere queste cartoline nelle strofe, però non sono mai fini a se stesse, c’è una dimensione più visionaria dell’isola che poi corrisponde più alla verità e alla contemporaneità. Per quanto riguarda la collaborazione con Carmen, era già nell’aria da qualche anno l’idea di fare qualcosa insieme, quindi quando abbiamo finito di scrivere “Luna Araba” con Antonio, ci siamo accorti che mancava un elemento, una voce femminile soprattutto che aprisse prima del ritornello e lo lanciasse per poi cantarlo. Abbiamo pensato subito a Carmen non semplicemente perché è siciliana e chiudeva il cerchio ma perché è un’artista che stimiamo particolarmente, ha una voce unica che si sposava bene con le nostre e lei ha partecipato al brano quasi come fosse una della band. Non è il classico featuring dove lei ha la parte da solista e basta ma si è molto integrata nell’arrangiamento, armonizza il ritornello, non fa la voce principale, canta nelle strofe, canta nel preritornello da sola. È sicuramente stata un valore aggiunto al brano e gli ha dato una nuova luce.
D: Ci piace parlare della Sicilia, ci piace condividere delle esperienze che sono personali ma che abbiamo capito che riguardano entrambi, perché entrambi veniamo da due paesini della provincia. Non c’era sicuramente e non c’è mai stata né in me né in Lorenzo la volontà di cantare la Sicilia come un luogo folkloristico, di descriverla con gli uomini con le lupare, le cassate e le arance. Abbiamo cercato di raccontare una Sicilia quasi psichedelica, in cui c’è la Scala dei Turchi ma c’è una scena strana, come questi bambini che fanno una gara di rutti, che è qualcosa che mi è capitato di fare nella mia infanzia, coi miei amici e una Coca Cola sulla spiaggia. C’è la volontà di raccontare degli aspetti della Sicilia però rendendola quasi un luogo che potrebbe essere anche un’isola dell’Oceano Pacifico, non per forza legata a un luogo nazionale italiano. Quando poi abbiamo scritto “è un istinto primordiale riuscire a non farsi male”, l’abbiamo pensata cantata da Carmen, come Carmen avrebbe potuto vestire quelle parole e ci sembrava che fosse il caso di chiamarla, di coinvolgerla. Non tanto perché lei fosse siciliana ma proprio per quello che ha rappresentato in qualche modo. È un’artista sempre coerente, elegante, ha sempre avuto una ricercatezza nel linguaggio che altri in Italia non hanno avuto, per cui è sicuramente un valore aggiunto del brano, è come se conferisse un’autenticità che non mancava ma che è diventata proprio un valore di cui aveva bisogno.
Nella mia recensione l’ho scritto, “I Mortali è bellissimo”, quindi vale come consiglio per l’acquisto. Ma se uno fosse indeciso, ci date anche solo una motivazione per comprare il disco?
C: Non sono bravo a vendere i miei prodotti culturali, non mi va di costringere nessuno a comprare niente. Spero che gli ascoltatori che acquistano questo disco se lo sentano addosso e comodo, e che li faccia stare bene. Mi auguro di non avere ascoltatori casuali, perché l’ascoltatore casuale in qualche modo è passeggero, è effimero, la mia speranza invece è che chi compra il disco abbia poi veramente voglia di ascoltarlo. Vale la pena comprarlo per vari motivi: perché c’è il lavoro di due professionisti della parola che ormai da più di dieci anni continuano la loro ricerca personale di cosa potrebbe essere la musica d’autore del domani e perché ci sono dei produttori bravissimi che hanno dato il loro contributo unico a questo disco, perché c’è una copertina bella ed è un bellissimo oggetto anche dal punto di vista grafico secondo me, quindi questo basta. Ma ancora più importante è ascoltare i brani e supportare live che poi è l’unica cosa che veramente tiene in vita la musica.
D: Una motivazione per comprare il disco è sicuramente di natura economica: nel senso che ci servono i soldi a me e Lorenzo (ride). Oltre a supportare un altro tipo di musica che di solito non passa dai canali ufficiali, non partecipa al gioco che molta musica fa all’interno del mercato: non disprezzo la musica di consumo però questo progetto nasce realmente da un accordo tra due amici non da un accordo discografico, per cui se si vuole comprare un disco secondo me questo è un disco da comprare. È come se compri una storia, un romanzo, come se compri il sigillo di un’amicizia. E poi, come oggetto secondo me ne vale la pena. Il vinile è molto bello, il disco è blu e sembra un oggetto ornamentale. Se i dischi non servono più ad ascoltare la musica perché è diventata liquida, hanno comunque un valore importante estetico che bisogna salvaguardare, per cui bisogna comprarli.
(Mario Mucedola)