Con questo nuovo album, “Per essere felici”, Marina Rei festeggia i 25 anni di carriera da cantautrice e ci regala un lavoro estremamente personale, in cui ogni parola sembra cesellata alla perfezione e coniugata con le sue abilità di polistrumentista.
Intervistarla oggi (6 luglio, ndr) ha avuto un ulteriore significato, perché oltre a parlare del suo splendido disco, Marina ha condiviso un ricordo del Maestro Ennio Morricone, venuto a mancare nella notte, con cui aveva collaborato e che aveva conosciuto fin da quando era bambina, poiché il padre (Vincenzo Restuccia, ndr) è stato lo storico batterista del compositore romano (suonando anche nel 33 giri de “Il buono, il brutto, il cattivo”).
Marina, con questo disco arrivi a 25 anni di carriera: quali sono i tre momenti che ti vengono in mente come i più significativi di questo percorso?
Sì, sono 25 anni dall’uscita del mio primo disco in italiano, quindi sicuramente l’uscita di “Marina Rei” nel 1995, accompagnata al mio primo Festival di Sanremo (con “Al di là di questi anni” che vinse il premio della critica) è il primo step che mi viene in mente, perché già da anni provavo a fare esperienze come vocalist e questo è stato il primo riconoscimento agli occhi del pubblico e della critica.
Il secondo step che mi viene in mente lo voglio attribuire al disco “Inaspettatamente”, dove c’è “I miei complimenti”, perché lo ritengo un passaggio decisivo a livello di scrittura, stilistico che mi ha portato poi ad evolvere sempre più, consapevole che avrei lasciato un percorso di maggiori certezze. E’ stato un importante momento di svolta in tutti i sensi.
Il terzo momento è proprio “Per essere felici”, anche se lo ritengo una conseguenza degli ultimi tre dischi, partendo da “La conseguenza naturale dell’errore”, dove ho avuto il privilegio di scrivere con tanti artisti come Paolo Benvegnù, Andrea Appino e Pierpaolo Capovilla e dove tra l’altro c’è “Che male c’è”, pezzo di Valerio Mastandrea e Riccardo Sinigallia dedicato a Federico Aldrovandi, in una versione arrangiata per orchestra dal Maestro Ennio Morricone, che purtroppo ci ha appena lasciato.
Quel disco, il disco seguente prodotto da Giulio Ragno Favero e “Per essere felici” sono un unico grande passo che mi rafforza come artista: ho acquisito dopo anni di esperienze e collaborazioni una consapevolezza forte su quello che è il mio percorso attuale.
Hai citato il Maestro Morricone che aveva arrangiato “Che male c’è” per il tuo disco, avevi avuto l’opportunità di conoscerlo?
Sì, lo conoscevo fin da bambina perché mio padre è il batterista storico di tutte le sue colonne sonore; loro hanno iniziato insieme, Morricone nasce come trombettista e faceva parte del Gruppo di Improvvisazione Nuova Consonanza, in cui aveva coinvolto anche mio padre alla batteria. Proprio stamattina mio padre mi raccontava che era con lui quando ricevette la telefonata dove gli veniva chiesto di comporre la sua prima colonna sonora (per il film “Il federale” di Luciano Salce, 1961).
Quindi, facendo parte mio padre della vita musicale di Morricone, capitava che andassi con lui in studio di registrazione e ai concerti, finché poi da grande, quando gli feci ascoltare “Che male c’è” gli piacque talmente tanto che decise di arrangiarla per orchestra. Tra l’altro ho saputo dopo che già aveva ascoltato delle mie cose, a mia insaputa, e gli era piaciuta la mia voce.
Da bambina non mi rendevo ovviamente conto del gigante che avevo davanti, pur sapendo che era un Maestro importante, poi da grande l’emozione di lavorare con lui è stata senza eguali. Sono stata molto fortunata.
Tornando a “Per essere felici” mi ha colpito molto il lavoro fatto sui testi, sulla scelta delle parole; mi sembra tu sia arrivata ad un livello di espressività emotiva nei testi che è il compimento di un percorso. Ne avevi percezione mentre scrivevi?
Guarda, ho lavorato tanto su questi testi perché non aveva senso pubblicare un lavoro di cui non ero convinta al 100%. A questo punto della mia vita artistica se pubblico un disco deve rappresentarmi in pieno, devo essere capace di raccontarmi in toto con i miei testi in modo adeguato, per cui su questi testi tante volte mi sono bloccata e poi sono ripartita per cercare di ottenere sempre il meglio. Sono molto autocritica con me stessa, il che ha dei lati positivi ma anche negativi, è un continuo inseguire una soddisfazione piena. Devo dire che nel raggiungere questa soddisfazione mi ha aiutato molto Riccardo Sinigallia, facendomi capire come dovevo indagare nelle mie stesse emozioni: è un artista che stimo oltremodo e che fa parte della mia vita come amico da più di 25 anni, per cui mi ci sono confrontata spesso e il suo incoraggiamento è sempre stato importante per crescere. Mi ha fatto capire cosa volevo fare a dispetto di tutto il mondo discografico che c’è intorno.
“Per essere felici” è un disco appunto molto personale e, se vogliamo, controcorrente rispetto al mercato discografico attuale. Come vedi il “sistema musica” attuale, da singoli mordi e fuggi, avendo anche passato varie fasi di carriera negli ultimi 25 anni?
Io ho fatto il percorso inverso, passando da un grande riconoscimento di pubblico a lavori più sperimentali: all’inizio sentivo il forte peso dello scrivere in italiano, della tradizione cantautorale, ma la vivevo con irriverenza e spensieratezza; poi nel corso degli anni ho incanalato la mia strada per quella che sono, perdendo magari la parte di pubblico che mi conosceva per “Primavera” e prendendone però un’altra che ha voglia di scoprire un’altra mia sfaccettatura. Questo percorso è avvenuto molto anche attraverso i live, confrontandomi con il pubblico e capendo che c’era un altro modo di essere ascoltata che non fosse il singolo radiofonico. Il resto lo ha fatto il mio istinto verso certi tipi di sperimentazioni, che già avevo toccato in inglese a inizio carriera, e di scrittura. “Per essere felici” è un disco che a 50 anni mi prendo volentieri la responsabilità di aver scritto, ben consapevole dell’attenzione che richiede nell’ascolto.
In questo mi fai venire in mente un parallelismo con “Dell’Odio Dell’Innocenza“, ultimo lavoro di Paolo Benvegnù che tu ben conosci… siete due cantautori che richiedono attenzione per le proprie parole.
Con Paolo ormai abbiamo un affiatamento straordinario e non vediamo l’ora di collaborare di nuovo. Abbiamo creato veramente qualcosa di speciale insieme e non era nè facile nè scontato.
Le collaborazioni con lui, con Riccardo Sinigallia, con Pierpaolo Capovilla in cosa ti hanno fatto crescere?
Mi hanno arricchito sotto vari aspetti. Con Pierpaolo non ci ho mai suonato ma abbiamo scritto e cantato insieme “E mi parli di te” e conoscendolo ho avuto l’opportunità di entrare nel suo mondo Majakovskiano e Pasoliniano e poi ne ho conosciuta un’altra sfaccettatura attraverso Giulio Ragno Favero, altra metà de Il Teatro degli Orrori, che ha prodotto il mio disco “Paraeidolia”.
Riccardo invece è un amico, come ti dicevo, e un produttore straordinario che va sempre nella direzione dell’artista, è bravo a farti esprimere al meglio e mi ritengo fortunata ad averci lavorato e anche ad averci suonato insieme, tanto più che siamo due persone molto esigenti sul palco e ci capiamo molto bene.
Con Paolo, come dicevo, si è creata un’alchimia ancora maggiore, abbiamo scritto insieme e fatto un tour, per cui è un mondo ulteriore ancora. Sono tutti artisti diversi ma con cui mi sono arricchita tanto.
Come è stato da musicista vivere il lockdown con un disco pronto? E quando lo sentiremo live?
Beh, non facile, dover decidere giorno per giorno cosa sarebbe successo, rimandare l’uscita… vediamo cosa succederà da ora in poi, per ora ci sono due date fissate, una in duo con Matteo Scannicchio il prossimo 1 agosto a Rosolina Mare (Rovigo) per il Premio Amnesty International – Voci per la libertà, l’altra in full band il 7 settembre alla Cavea dell’Auditorium Parco della Musica di Roma, in quella che sarà proprio una festa celebrativa dei miei 25 anni di carriera.
Ultima domanda, rifacendomi al titolo del disco: qual è la ricetta secondo Marina Rei per essere felici?
Non c’è nessuna ricetta, per essere felici bisogna faticare molto, avere coraggio e fare delle scelte difficili per arrivare ad un momento in cui ci si riconosce in se stessi e in quello che si fa.
(Alessio Gallorini)