Come anticipato già qui è finalmente uscito il quarto album del duo americano. Lo storico logo (il pugno con la pistola) non è mai tanto attuale come adesso ma l’estrema contemporaneità di questo lavoro non si esaurisce solo nella rappresentazione grafica.
I versi di Killer Mike attaccano tutto quello che sta connotando negativamente il nuovo millennio: uso smodato spesso scorretto dei social (“Goonies vs E.T”), l’ossessione per il profitto e le radici (spesso malate) della società americana (Ju$t”), il razzismo endemico della società statunitense e la violenza della polizia contro gli afroamericani (“Walking in the snow”). E proprio quest’ultimo brano sarà sicuramente il più citato e ricordato dato che, a un certo punto, i versi recitano: “Ogni giorno i telegiornali alimentano la tua paura gratis e sei così intontito che guardi dei poliziotti soffocare un uomo come me fino a che la voce si trasforma da un urlo a un sussurro ‘Non riesco a respirare’ e tu stai lì seduto in casa sul divano e lo guardi in Tv, e il massimo che riesci a fare è mandare un Tweet in cui parli di tragedia ma in realtà sei stato derubato della tua empatia che è stata sostituita dall’apatia”.
Se si tiene presente che l’intero album è stato scritto l’anno scorso (la frase I can’t breathe si riferisce alle ultime parole pronunciate da Eric Garner, anche lui – come George Floyd – afroamericano, fermato dalla polizia per un (presunto) reato minore e morto per soffocamento a New York nel 2014) risulta ancora più shockante il fatto che richiami un passato mai come oggi presente, come se la Storia non fosse qualcosa che si ripete ma la è la società stessa (nonostante la rabbia e l’indignazione di molti) in quanto Sistema che non cambia.
E allora vanno forse davvero ripensati i pilastri su cui si basa la così tanto decantata civiltà americana, visto che gli stessi padri fondatori (George Washington, George Jefferson) – i cui volti sono impressi anche sul dollaro – erano slave masters (come acutamente sottolineato in “Ju$t”).
RTJ sono due quarantenni, uno bianco e uno nero (c’è ancora bisogno di sottolinearlo?), ancorati al rap della vecchia guardia, quello che univa beat ossessivo-compulsivi a uno speech senza sosta, denso di ruvida protesta (e qui tocca andare nell’Olimpo del genere e citare i Public Enemy). Ma non si tratta di riproposizione di maniera di suoni già sentiti: questo disco in particolare si avvale della produzione dell’ormai onnipresente Rick Rubin e vede collaborazioni incisive.
Pharrell Williams impreziosisce e a tratti ingentilisce con i suoi cori la granitica “Ju$t” e Zach de La Rocha la grida con tutta la sua rabbia; la mitica Mavis Staples apporta intensità soul ad una ipnotica “Pulling the Pin” a fronte di un Josh Homme un po’ più impercettibile; 2Chainz si inserisce a perfezione in quella meravigliosa melodia sfaccettata che è “Out of sight”.
Non di solo rap è fatto questo album, un nuovo approccio musicale – seppur restando legati alla propria identità musicale – si manifesta in “The Ground Below” dove si riprende (ma non si coverizza) “Ether” dei Gang of Four. Un interessante esperimento che mi auguro abbia un seguito.
RTJ4 rappresenta una conferma e occupa una posizione di prestigio all’interno della discografia del duo. Di sicuro è un ottimo album, tanto per il contenuto quanto per la musica che gli dà vigore e si candida a pieno titolo come colonna sonora per tutte quelle forme di rabbia che brucerebbero dentro se non fossero espresse da una musica come questa.
(Patrizia Lazzari)