Uscito in due parti, la prima solo in digitale a febbraio 2020, la seconda in questo maggio, grae è la seconda fatica di Moses Sumney, cantautore di origine ghanese nato in California e cresciuto in North Carolina.
Il seguito di “Aromanticism“, datato 2017, è un disco complesso e mastodontico fin dalla quantità delle tracce, ben 20 in totale, ma di cui si può e si deve godere solo nella sua interezza: le due parti, il bianco ed il nero, creano un perfetto bilanciamento, fondendosi nel grigio che dà infatti titolo all’intero lavoro.
Sumney è un audace sperimentatore per un verso, quando affonda in arrangiamenti barocchi e sonorità dilatate, mentre per l’altro è uno straordinario cantautore soul quando il tutto si semplifica e si fa più lineare.
Il resto lo fa una vocalità quasi non umana, che viaggia dal falsetto ai toni più bassi con una naturalezza impressionante e ammanta i brani di una magia celestiale.
Da “Cut me”, un brano che vi entrerà sottopelle tanta ne è la forza compositiva, fino ai più complessi “Gagarin” e “Colouour”, per arrivare alla poesia di “Bystanders” e alla pura eleganza di “Me in 20 years”, Moses Sumney delizia l’ascoltatore attento sfiorando i generi musicali con grazia e personalità, travalicandoli persino e facendoci riflettere sul concetto stesso di genere, non solo musicale: il suo essere etereo, indefinibile, gli conferisce una forza straordinaria, così come sorprendente è la forza della sua musica che può passare dal pop, al soul, al neo-jazz al rock senza mai perdere in continuità espressiva ed in qualità.
Siamo di fronte ad un artista che probabilmente segnerà il prossimo decennio, con “grae” destinato a diventare una pietra miliare a cui pubblico e critica potranno fare riferimento.
(Alessio Gallorini)