Nel 1972 la Democrazia Cristiana vinceva le elezioni e Giulio Andreotti istituiva il suo primo governo: in omaggio a questa più che controversa figura e a quella data, un cantautore di cui si conosce solo l’età (classe 1993) e che si cela dietro la maschera del noto politico, pubblica il suo album d’esordio, un lavoro che non potrà non incuriosirvi.
Andreotti va ad inserirsi nell’ormai consolidato filone it-pop, caratterizzandosi per un suono vintage che volutamente ammicca proprio a quegli anni ’70 (ma ovviamente ci sono più di alcune tracce che fanno pensare anche al decennio successivo). Quello che affascina, oltre alle atmosfere punteggiate di batteria analogica, basso e string machine d’annata, sono soprattutto i testi, capaci di essere irriverenti, dissacranti e catchy al punto giusto, con quell’ironia caustica che di questi tempi è sempre un quid ben accolto.
Si passa da “Non vorrei ma se vuoi io potrei scodinzolare un po’/ e senza farne una festa, una notte e poi basta / due tette e un uomo fanno sempre pendant” di “Aristogatti”, a “Mettiamo su una storia/ certo un’idea che possa funzionare tipo addentare un ghiacciolo in centro a Sassuolo/ sai potrebbe diventare trendy/ cazzo da Zara fanno il venti” (“Sassuolo”, che più ritratto della provincia non si può) fino a “Sai cosa intendo quando dico che i gol di Weah mi fanno ancora sognare/ che le trentenni incazzate col mondo mi fanno indurire il cane” (“Lombroso”, con quella nostalgia anni ’90 che fa presa).
Insomma siamo di fronte a un disco e a un personaggio che faranno di certo parlare: il lavoro autoprodotto è più che buono e di certo saprà conquistarsi l’attenzione che merita. Vedremo se, come l’Andreotti originale, saprà diventare una (famigerata) costante sulla scena, non quella politica, ma quella musicale in questo caso.
(Alessio Gallorini)