Francesco, stavolta non mi freghi. L’altra volta, con “Il bene” mi hai spiazzato, quasi fatto paura: non era così che immaginavo la tua solitudine artistica. Non che la immaginassi in paisley pink ma neanche così funerea. Mi pare logico approcciare “L’Abisso”, che già dal nome porta ancora più a fondo in un’anima decadentista, con le dovute precauzioni. Tanto più che l’avevi annunciata su Instagram, al termine del racconto di un sogno angosciante, come “una confessione assai privata, in Schumanniano andazzo” ed ogni appassionato di musica sa quanto solo la musica tedesca riesca ad essere più triste della tristezza stessa.
Allora, con un po’ di timore, mi sono messo ad ascoltare “L’Abisso”. E sono rimasto a bocca aperta.
L’andazzo Schumanniano si esplicita forse soprattutto nella progressione melodica del pianoforte, e nonostante Giovanni faccia una brutta fine, infartando durante l’ora di ginnastica, il boccino a cui avvicinarsi ha la forma di De Andrè, che Bianconi ha sempre citato come influenza fondamentale e la struttura del brano, la voce grave ma anche la disillusa constatazione che “Mi pagano per scrivere, io sono bravo a fingere, a far bella figura in società, alla mostra delle atrocità” riporta tra i caruggi cari al cantautore genovese e allo stile di “Al ballo mascherato”, brano del celebre “Storia di un impiegato” del 1973.
Così tra una citazione di Hobbes e uno spirito cinematografico che incarna la depressione, appaiono dei glitch elettronici che spezzano il brano prima che la narrazione si avvii al climax, per poi interrompersi drasticamente quando la decisione diventa quella di affrontare quest’abisso finora evitato, fino ad essere spazzato via da un tornado di archi in grado di inghiottire la voce facendola sparire.
Per quanto complessi siano i livelli di lettura che ruotano attorno a questo testo, pare che questo sia più immediato, meno ostico rispetto a “Il bene” e la sensazione è anche che la scorsa canzone servisse ad allontanare i fan della musicalità più sciolta dei Baustelle, come una selezione all’ingresso: superato quello scoglio si accede ad un nuovo grado di comprensione e ad una diversa dimensione artistica del Bianconi scrittore. Certo, parlare prima dell’uscita di “Forever” è ancora prematuro ma l’impressione è che mentre il mondo dell’indie gioca al ribasso, proponendo canzonette sciatte e melodie stitiche, si stia provando ad alzare l’asticella della qualità, lirica e musicale. Vedremo se il tempo, e Francesco, mi daranno ragione.