Il 10 aprile è uscito per The Flenser il secondo lavoro di Midwife, Forever, un disco composto da sei brani che ruotano intorno all’accettazione del dolore e della morte ed alla capacità di uscire migliorati dalle più dure esperienze che la vita ci mette di fronte. Per Madeline E. Johnston, colei che si cela dietro il moniker Midwife, è un disco “necessario” per sopravvivere alla morte dell’amico Colin Ward e ne abbiamo parlato con lei, che ci ha raccontato anche com’è vivere in USA in piena pandemia.
La prima domanda è obbligatoria: come stai? Che effetto fa pubblicare un disco in questo momento storico?
Sto bene! È sicuramente un momento strano per far uscire un album. Mi chiedevo se le persone avrebbero avuto momenti per la musica in questa situazione. Penso che sia stato davvero un buon momento, nonostante tutto. L’album sembra raggiungere le persone e influenzarle. Sono felice per quello. In generale sono un po’ fuori di testa, ma sto solo cercando di prendere tutto un giorno alla volta. Sto cercando di usare il tempo in casa per lavorare su qualche nuovo testo. Penso che in generale la pandemia mi stia facendo riflettere molto su come potrebbero esserci più infrastrutture negli Stati Uniti per musicisti e artisti: dovrebbero inoltre avere accesso all’assicurazione sanitaria o a un reddito. Spero che quando saremo usciti da questa pandemia, alcune cose della nostra società siano ripensate in meglio non solo per gli artisti, ma per tutti.
In questo disco si percepisce il dolore ma anche un certo sollievo, come se mettere il dolore in musica fosse stato giusto. So che il tuo dolore è legato alla scomparsa del tuo amico e mentore Colin Ward, a cui “Forever” è dedicato e che sentiamo leggere uno dei suoi scritti in “C.R.F.W.”. Come ti fa sentire ascoltare “Forever” oggi e quel brano in particolare?
Sì, realizzare questo album è stato davvero catartico per me. Non penso di capire la morte di più o di meno ora, ma penso che realizzare il disco sia stato davvero una parte integrante del mio processo di guarigione. Avere un posto dove posizionare quelle emozioni ed esplorarle è stato enorme.
Dopo la morte di Colin, penso che tutto ciò che volevo fosse sentirmi vicino a lui. Mi manca e ci penso ogni giorno. Realizzare l’album per lui in sua memoria è stato davvero potente perché mi ha permesso di sentirmi più legata a lui, che è quello che volevo così disperatamente dopo che se ne era andato. Interpreto la sua poesia su “C.R.F.W.” come una grande incarnazione del suo spirito.
È uno stream of consciousness, ma sembra naturale per lui. È discontinuo ma intenzionalmente, è penetrante, è collegato alla natura e alla tecnologia, riguarda l’interconnessione tra le persone – il tempo – e il destino – penso che nel complesso, il tema principale sia solo l’ AMORE (lo scrive in caps lock, ndr).
Il che nella mia mente è davvero come lavorava Colin.
Tutto riguardava l’amore.
Questa registrazione proveniva da un progetto commissionato da Sterling Crispin chiamato “Pure Becoming”. Il progetto riguardava la coscienza collettiva, la creazione di unità e l’attualizzazione di una realtà magica. In realtà non ho ascoltato la poesia fino a quando Colin non è morto, ed è stato così folle, sembrava una sorta di premonizione. O come un messaggio che ci ha lasciato appositamente. Come se sapesse che sarebbe morto, e che era giusto così.
Questo disco parla anche di casualità e scelte. Ci sono scelte che non rifaresti? E se non fossi una musicista cos’altro vorresti essere?
Sempre, è umano voler cambiare le tue scelte, ma è troppo tardi una volta fatte. Non possiamo. Ogni scelta che facciamo ha delle conseguenze. Ogni decisione ha il suo esito.
Stavo pensando molto al determinismo, al dubbio e alla causalità mentre facevo questo disco. Come le nostre scelte restano con noi per sempre (non puoi correre per tutta la vita) e sostanzialmente chiedendomi se c’è un modo per interrompere il ciclo dell’inutilità della natura umana. Penso che l’unica cosa razionale che chiunque possa aspettarsi è la morte. Vorrei aver fatto di più per Colin o aver percepito qualcosa prima che si suicidasse. So che tutti pensano “è colpa mia”, ma vorrei aver fatto di più. Vorrei averlo fermato, o almeno avergli potuto dire addio.
Se ho imparato qualcosa è che è importante valorizzare le persone intorno a te, e far loro sapere che sono importanti e amate. Essere presente per loro. Con tutto l’amore possibile.
Un grande giornalista italiano, Vittorio Zucconi, ha scritto: “Denver non fa distinzioni di censo e di razza nel suo magnetismo. Sulle sue strade ho visto giocare bambini messicani e vietnamiti, neri e filippini, inseguendosi con la palla e i bastoni, allenandosi di giorno alle guerre per bande che i loro fratelli maggiori praticano di notte. Tutti così piccoli e a fianco a fianco, neri, rossi, gialli, bruni sembrano un francobollo commemorativo dell’Onu.” Quanto vivere a Denver influenza il tuo sound? E hai mai pensato a come sarebbero la tua vita e la tua musica in un’altra città?
Ci penso sempre. Penso che la mia vita e la mia musica sarebbero molto diverse se vivessi altrove. Sarei una persona diversa. Sono stata molto influenzata dalla nostra scena musicale sperimentale qui, ha davvero condizionato il mio sound, i miei obiettivi e ciò che è importante per me come artista.
Ti va di dirmi le prime tre parole che assoceresti a “Forever”?
Dio. Morte. Pace.
Penso sia la prima intervista che realizzi per una webzine italiana. C’è qualcosa che ti lega al nostro Paese o che conosci ed ami dell’Italia? Non dirmi la pizza…
Ahahah… amo molto il cibo italiano! Non sono mai stata in Italia e onestamente non ne so molto, ma spero di venirci un giorno.
Abbiamo qualche possibilità di vederti in tour in Italia nel 2021?
Se tutto andrà secondo i piani, spero di fare un piccolo tour in Europa la prossima primavera incentrato sul Roadburn Festival, che è stato riprogrammato per il prossimo aprile. Sarà la prima volta che suonerò in Europa e sono molto emozionata. Spero solo che il mondo sia migliore per allora e che sarà possibile viaggiare.
Cosa dobbiamo aspettarci da un concerto di Midwife?
Il mio live set è più ridotto rispetto alle mie registrazioni. È molto più minimale, in stile cantautorale.
Penso che sia un po’ più dinamico e intimo, però. Mi piace la tensione e lo spazio contemplativo che hanno le mie canzoni quando le suono dal vivo alla chitarra. Sicuramente dovete aspettarvi un suono più drone, minimalismo ed emotività dinamica.
(Alessio Gallorini)