Claver Gold e Murubutu – Infernum (Glory Hole Records, 2020)
È appena uscito (solo in formato digitale), Infernum, ambizioso progetto concept a firma di Claver Gold e Murubutu: neanche a farlo apposta, visti i tempi infernali, si tratta di un viaggio nell’inferno dantesco (il 25 marzo tra l’altro è stato il Dantedì, giorno dedicato al sommo poeta): i nostri due cantautorapper si calano nei panni di Virgilio e del poeta fiorentino e ci portano in un viaggio in metrica 2.0 negli episodi salienti della prima cantica della Divina Commedia. Si parte dalla “Selva oscura” e si passa per la conoscenza di “Caronte”, per poi struggersi d’amore con “Paolo e Francesca” (mirabile featuring di Giuliano Palma), proseguendo nelle malebolge (per l’occasione ribattezzate “Malebranche”), fare due parole con “Ulisse” e poi arrivare all’incontro clou con l’oscuro signore “Lucifero”, fino a risalire nel “Chiaro mondo” con l’aiuto di dj FastCut. Operazione perfettamente riuscita, accattivante e piena di ritmo alla giusta temperatura. Quella infernale.
(Alessio Gallorini)
Le Fasi – Edèra (2020 – Alka Record)
Nuova fatica per il gruppo napoletano, Edera è un bellissimo disco a metà tra il dialetto napoletano e l’italiano, a metà tra il pop e la sperimentazione su terreni rock spigolosi. Tutti i pezzi sono ben ragionati, costruiti come si deve e farebbero una gran figura in radio, avendo i requisiti per essere potenziali hit.
Si inizia con “Camelia”, brano con un funk sporco trascinante che colpisce per la capacità di mischiare ritmi acidi e un dialetto dolce come quello napoletano; a questo proposito “Dint ‘e mane” è sconvolgente nel suo crescendo rock. “Ibrido” è un altro pezzo sensuale, con un arrangiamento decisamente di un’altra categoria, che risolve in un ritornello ibrido italo-napoletano sospeso e accattivante. La sensazione però è che il gruppo risulti molto più spontaneo, naturale, sciolto, quando canta in dialetto ed è il motivo per cui “Via Roma” pur essendo scelta come singolo apripista, risulta un brano inadatto a manifestare tutto il potenziale di cui dispone questo disco. “Solo”, invece, pur ripetendo lo schema italonapoletano è un gran pezzo moderno, un vero e proprio anthem da stadio che non ha nulla da invidiare a certo rock d’oltreoceano. L’album si chiude con un classico della canzone napoletana del 1932, “Connola senza mamma”, riarrangiato in una chiave rock assolutamente credibile, mantenendo comunque l’identità melodica della traccia originale.
L’impressione è che sia un momento fertile e importante per la band, segnato da un disco completo e ambizioso che non mancherà di farsi spazio, regalando belle soddisfazioni ai Le Fasi.
(Mario Mucedola)
Matinée – Event Horizon (2020 – Neon Tetra Records)
Tanto pop e tanta freschezza per il nuovo lavoro degli abruzzesi (ma ormai di stanza in UK) Matinée: in Event Horizon si sente la loro derivazione dai Franz Ferdinand di Alex Kapranos (dal cui brano “Dark of the matinée” prendono il nome), ma soprattutto la voglia di divertirsi e divertire ammiccando a certe sonorità eighties. Coadiuvati da Chris Geddes (Belle & Sebastian), che è dietro praticamente a tutte le tracce, i nostri sfornano un disco indie-pop che in questi tempi bui è una ventata d’estate: suoni danzerecci, elettronica minimale mixata ad un pop-rock accattivante, che invita a muoversi, sapientemente mixato a un paio di ballad in cui il tocco “made in Franz Ferdinand” si fa evidente (ascoltare “Come with me” per credere). Nove brani (più la extended version del singolo “Summer sun”) che ci fanno stare bene e ci aiutano ad essere spensierati in un momento in cui non pensare per mezz’ora è una rarità, per cui bisogna senz’altro ringraziare.
(Alessio Gallorini)
Paolo Doesn’t Play With Us – Muffled Heart Sound (2020 – Blooms Recordings)
Esperimento particolare quello dei Paolo Doesn’t Play With Us, nome curioso dietro il quale si celano Giulia Meci e la sua voce incantata che incontra a meraviglia il territorio melodico intessuto da Matumaini alla chitarra e Tommy Ruggero alla batteria. Muffled Heart Sound è stato preceduto ad “Another Land”, una fiaba leggera che ci indirizza verso il resto dell’album, tra spunti acustici predominanti e ritmi che strizzano l’occhio all’oriente, come in “This Rain” e nell’opening track “Mother”. Ma c’è spazio anche per brani come “River” e la sua coda tendente al rock così come “Turn the light off” che mette in luce il lato più dark della composizione dei Paolo Doesn’t Play With Us.
“Oggi tutti dobbiamo essere produttivi, inconsumabili e instancabili. Il nostro cuore, la nostra musica però è lì e non smette di risuonare, di palpitare” dice il gruppo, e bisogna affermare come l’intenzione, in questo lavoro sognante e ben costruito, sia andata a segno. La dimensione acustica riesce ad esprimere tutta la vitalità della voce e degli strumenti che la accompagnano. Una bella prova per il gruppo bolognese che confeziona un album delicato, dove la chitarra e la voce regnano incontrastati, per un risultato che mette in mostra un lato intimo elegante e accattivante, disco indicato per questi giorni di riflessione e meditazione.
(Mario Mucedola)