Richard Russell riprende il lavoro di due anni fa rimescolando il melting pot sonoro che aveva caratterizzato il primo lavoro e chiamando in squadra nuovi talenti della scena londinese (ma non solo). FRIDAY FOREVER è organizzato come un concept album che racconta un venerdì sera, parte integrante del titolo di ogni brano è infatti anche un orario: si inizia alle 9.46 e si finisce alle 11.59 del giorno dopo. Un po’ come un ideale giro per club alla scoperta di nuovi stimoli musicali o semplicemente alla ricerca di intrattenimento di qualità.
Questo lavoro sembra un po’ una trasposizione sonora della biografia dello stesso Russell, immerso nella clubbing scene fin da giovanissimo, da dove la sua carriera è iniziata fino alla fondazione dell’etichetta XL. E infatti non è un caso che in contemporanea all’album venga pubblicato anche un libro sulla sua vita (“Liberation Through Hearing: Rap, Rave and the Rise of XL Recordings”). Ma è l’anima collettiva la vera ossatura di “FRIDAY FOREVER”, al quale contribuiscono nomi emergenti come i londinesi AK Paul, Flohio e il mancuniano Aitch. A Berwyn (nativo di Trinidad) è affidato uno dei pezzi più intriganti come “The Night” (campionamento di “Hollow Out Cakes” di Bill Callahan aka Smog) e il seducente “Burnt Toast” mentre sono i due ex Wu Tang Clan – Ghostface Killah e Infinite Coles – a duettare nel momento centrale di questa insolita nottata, in una “Caviar” con beat profondo e mistico, rime viscerali ed inquietanti gridolini.
Come in ogni serata che si rispetti, arrivano anche i momenti più soft, necessari a recuperare fiato ed energie (nel frattempo si sono fatte le 4.21 del mattino…), regalati dalle voci dell’irlandese Maria Somerville e dall’elettronico James Massiah in una magica ed esotica “That Sky”.
A sole già alto è la voce di Penny Rimbaud (storico componente dell’anarco-band Crass) a mandare tutti a casa con toni lirici e pacati, è la voce del saggio che riporta alla realtà del giorno ormai iniziato, della vita che ricomincia. La notte è finita ma presto ritornerà (“Temporal, yet eternal” recita in una riflessiva “Circles”). Va riconosciuto ad un onesto Russell l’occasione offerta alle nuove voci in circolazione di mettersi in evidenza e il progetto Everything is Recorded è vivo e trasversale più che mai.
Rispetto al precedente lavoro (più accattivante e fruibile nella sua omogeneità), qui tanto buone sono le performance individuali quanto fiacche risultano complessivamente le composizioni nel loro insieme, come se le aspettative di una serata che si preannuncia entusiasmante vengano parzialmente deluse. Insomma, la compagnia è buona ma i locali non sono più quelli di una volta e, alla fine, ci si annoia un po’.
(Patrizia Lazzari)