Il quarto lavoro di Nadia Reid, talentuosa cantautrice neozelandese ora stabilizzatasi in Virgina, è quello che ci vuole in tempi di pandemia: nota dopo nota si respira una piacevole evasione dai pensieri negativi e complessivamente si rivela un album onesto e deliziosamente ispirato.
Forse perché è stato concepito durante un lungo tour, vibra di quella lieta frenesia data dall’essere in movimento, sembra quasi di sentire il vento scompigliare i capelli come quando si sfrecciava liberamente a cavallo di un mezzo rombante sulle litoranee assolate.
Nostalgie di libertà perdute a parte, Out of my province è un disco semplice ma non minimalista, elegante senza essere patinato, intimo ma allo stesso tempo globale, godibile sia per le orecchie più rock che per quelle più folk.
I brani migliori (“Oh Canada” e “Heart to Ride”) riassumono le caratteristiche principali dell’lp: la prima è il movimento, l’energia e la voglia di scoprire, di osservare, la proiezione verso il futuro imminente; la seconda è la riflessione della sera, l’armoniosa convivenza con se stessi, il godimento dell’attimo presente.
L’essere in movimento (così come la carriera stessa della Reid) non prescinde però dalla consapevolezza delle proprie radici, il luogo di partenza che tanta importanza ha in quello che siamo e in quello che diventeremo. E quindi non è solo in senso letterale che va inteso il titolo “Out of my province” ma anche come un manifesto omaggio alla propria terra attraverso le parole di Janet Frame, una delle scrittrici preferite della songwriter.
Durante un’intervista le fu chiesto se si considerasse una delle più grandi scrittrici del ventesimo secolo e la risposta fu: “That question doesn’t reach me. It’s out of my province”. Da gustare un passo alla volta.
(Patrizia Lazzari)