Con un preavviso minimo di qualche giorno rispetto alla sua uscita Laura Marling fa un grosso regalo ai fan, e prima ancora a sè stessa, annunciando che oggi sarebbe stato pubblicato il suo nuovo disco in studio dal titolo Song For Our Daugther, tramite Crysalis/Partisan. Il settimo album ha mosso i suoi primi passi dopo il tour conclusivo di “Semper Femina”, precedente lavoro della musicista inglese, che ha preso poi preso forma durante la sua esperienza in diverse collaborazioni al di fuori della sua comfort zone ovvero con il direttore di teatro Robert Icke ma soprattutto formando i LUMP assieme a Mike Lindsay dei Tunng, con il quale ha scritto e registrato il disco omonimo di debutto.
Non ultimo il suo attestato in psicoanalisi ha fatto sì che Laura scandagliasse il suo ruolo di musicista che ormai le stava stretto, un abito che aveva visto troppe volte, soprattutto in fase di scrittura dei testi, le sembrava di parlare sempre della stessa cosa, come lei stessa afferma “stavo scrivendo lo stesso libro ancora e ancora”. Grazie a questa nuova consapevolezza si è allontanata da ciò che era così da prendere in considerazione nuove prospettive che, se da un lato spaventano perché sconosciute dall’altro fanno in modo di mettersi nuovamente in gioco, sono riuscite farla sentire viva. È appunto in questo periodo che inizia a collaborare con gli artisti citati qualche riga più su ma soprattutto spostandosi fisicamente dagli Stati Uniti a Londra, vivendo a qualche strada di distanza da sua sorella. In questa sua nuova condizione mette sù uno studio casalingo dove prenderanno forma i dieci inediti di “Song For Our Daughter”, dieci perline acustiche prodotte con l’ausilio di Ethan Johns il quale si limita al suo lasciando che la Marling si occupasse di tutti gli arrangiamenti e le altre fasi di realizzazione del disco. Queste le parole scritte dal pugno di Laura per la presentazione: “Il nuovo album Song For Our Daughter esce questa settimana, prima del previsto. Visto il momento che stiamo affrontando non vedo perchè posticiparlo, potrebbe intrattenere e dare un certo senso di unione e partecipazione. È strano vedere gli aspetti della nostra vita quotidiana dissolversi lasciando solo l’essenziale; coloro che amiamo e per cui ci preoccupiamo. Un album spogliato di tutto ciò che la modernità e la proprietà causano, è essenzialmente un pezzo di me e vorrei che voi lo aveste. Vorrei che voi ascoltaste una strana storia sull’esperienza frammentaria e insensata del trauma e una richiesta di capire cosa significa essere una donna in questa società. Adesso quando lo riascolto, lo capisco di più di quando l’ho scritto. La mia scrittura, come sempre, era avanti mesi, anni rispetto alla mia mente. Era tutto lì sin dall’inizio, guidandomi dolcemente attraverso il caos della vita. E ciò descrive il sentimento dietro all’album – come potrei guidare mia figlia, prepararla alla vita e a tutte le sue sfaccettature? Sono più grande ora, grande abbastanza da avere una figlia e sento la responsabilità di difendere La Ragazza. La Ragazza che potrebbe essersi persa, strappata all’innocenza prematuramente o distrutta da forze che dominano la società. Voglio supportarla sussurrandole all’orecchio tutta la sicurezza e l’affermazione che ho trovato difficile procurare a me stessa. Questo album rappresenta quello strano sussurro, un po’ distorto, un po’ fuori sequenza, come la vita.” “Voglio che tu lo abbia.”
Il risultato è un album profondamente personale, lo si avverte dal primissimo giro di chitarra che apre il lavoro (“Alexandra”), nessuna sovrastruttura a coprire l’essenziale – voce/cori, chitarre e batteria – che sarà il tratto distintivo di tutte le canzoni le quali, nonostante a prima vista possano sembrare pensate per visioni folk scarne, rivelano invece dei particolari sonori pronti a spuntare fuori dopo vari ascolti, come le diverse partiture d’archi affidate a Rob Moose (Antony and the Johnsons, Bon Iver, the National) nella title track o in “Blow By Blow”, pezzo fragilissimo che è un omaggio a Paul McCartney, sempre un po’ artisticamente bistrattato da Laura a causa dell’ingombrante figura di Lennon, reputato a torto più importante dell’altro Beatle.
“Song For Our Daughter” emana luce e candore proprio come la foto in copertina: Laura è vestita di bianco, il viso sorridente e puro, sdraiata sulla schiena del suo compagno ha lo sguardo di chi ha tutto ciò di cui ha bisogno in quel momento, sembra una creatura eterea scesa a portare armonia in questi giorni, per almeno una mezz’ora abbondante, e ci riesce benissimo essendo a fuoco e centrata su ciò che voleva ottenere.
(Antonio Capone)