Marco “Galeffi” Settebello è da più parti considerato come uno dei cantautori di punta del movimento indipendente italiano. Qui no.
Partiamo da questa considerazione per analizzare Settebello, il nuovo album di Galeffi, uscito per Maciste Dischi, alla luce di una consapevolezza maturata non attraverso gli entusiastici comunicati stampa che vengono diramati in tutte le redazioni ma attraverso una metodologia un po’ più antica ma ugualmente efficace: l’ascolto del disco. L’uscita era prevista per venerdì scorso, il 13 ma a causa dei problemi sanitari che ben conosciamo, si è deciso di posticipare l’uscita dell’album a venerdì 20. Direte voi, cosa cambia? Un bel niente, rispondo io. È, ad ogni modo, un sintomo del comportamento a tendenza paracula del buon Galeffi.
La canzone che dà il nome all’album, “Settebello”, la conosciamo già ed è riassumibile sotto la dicitura “manifesto itpop”. Il brano infatti è confezionato secondo tutti i canoni del genere: intro intimista, ritornello aperto e soprattutto la necessità di dire cose confuse per non dire assolutamente niente. Eppure, nonostante un inizio complicato, le cose sembrano subito migliorare, con “Monolocale”, che là per là sembra la naturale prosecuzione del brano precedente. Manierismo itpop puro, con l’arpeggio di synth doppio così nel ritornello. Quel che però sorprende è la capacità di questo brano di “avvolgere” l’ascolto, tanto da indurmi a pensare, a buona ragione, che questo brano possa diventare un instant classic del repertorio del ragazzo. Sensazione che viene ulteriormente accentuata dalla scelta di affiancare questo brano al successivo, “America”, una ballata con influenze jazzy molto molto gradevole e molto molto piaciona, oserei dire perfetta per essere suonata durante “Quelli che aspettano”, la trasmissione televisiva-preludio di “Quelli che il calcio”, che ogni settimana ospita artisti accomunati da vestiti improbabili e cappelli francamente ridicoli. Ma questa sensazione – che capisco possa sembrare figlia di un atteggiamento critico ma, credetemi, è la reazione di chi è stato prima colpito da un pugno in pieno volto e poi coccolato a suon di marshmallow, sono contento ma non mi fido del tutto – sarà subito spazzata via dalla prossima “Dove non batte il sole”. A dispetto degli innumerevoli calembour che si sarebbero potuti esibire partendo da un titolo del genere, il brano è abbastanza innocuo. Inoltre, non riesco a togliermi dalla mente il fatto che Galeffi in questo brano abbia un frigorifero nel cuore mentre in “Settebello” abbia addirittura un rubinetto in fondo agli occhi. Ma davvero queste metafore così scialbe riescono a sostenere le produzioni di intere case discografiche? Ed è davvero possibile che nessuno nessuno abbia notato l’assonanza del rubinetto in fondo agli occhi con “negli occhi ho una botte che perde” di Calcuttiana memoria? Cioè non è che perché lo fa uno e gli riesce, allora poi lo si debba fare tutti acriticamente. Ma forse è ancora un mio errore, procediamo e “Grattacielo” quasi mi risolleva col suo ritmo sincopato e accattivante, peccato che il brano venga immediatamente penalizzato da un ritornello che, per melodia e liriche, andrebbe bene al massimo per la festa della scuola di una band di liceali. Ma mi sa che devono essere finiti i marshmallow perché il buon Galeffi ricomincia a prendermi a pugni, sferrandomi prima “Tre metri sotto terra”, pezzo che contiene addirittura una squallida citazione di Tiziano Ferro, proprio a dare l’impressione di un prodotto curato nell’ammiccare a chiunque e poi una serie di riempitivi, che dopo sette canzoni su dieci forse sono davvero prematuri. Sorvolando a piè pari su “Cercasi amore”, alla fine troviamo “Gas”, con un arrangiamento retrò e sinceramente molto carino ma il pezzo non decolla manco alzando la voce come nel ritornello.
Un peccato, un vero peccato, ho richiesto questo disco in redazione con ardore, avevo aspettative altissime ed ho addirittura sacrificato una fila per l’ingresso al supermercato per ascoltarlo con il dovuto tempo, gustarmelo e metabolizzarlo come andrebbe sempre fatto con un disco prima di scriverne. Dio (o chi per lui) solo sa quanto mi costi stroncare senza appello un album, che è comunque una cosa a cui una persona dedica lavoro, forze, anima per un periodo della sua vita ma proprio non riesco ad esprimermi altrimenti. Questo disco frutterà qualche live pieno, quando si potrà riprendere a suonare, qualche cocktail offerto, qualche scopata nei camerini ma poco altro. “Settebello” non aggiunge nulla alla storia del genere e forse nemmeno alla carriera personale del ragazzo ma aiuterà il carrozzone a tirare avanti ancora per qualche mese, fino alla prossima sensazionale next big thing da sfruttare il tempo di un disco, e poi bisognerà trovarsi un lavoro serio.
(Mario Mucedola)