Allontanarsi dalle proprie parole, pensare che siano nate da sole e da sole abbiano preso vita, come in un gioco, in un sogno bellissimo che sfiora l’impossibile. È questo che fa Paolo Benvegnù nel suo nuovo lavoro, Dell’Odio Dell’Innocenza: si muove come uno spettro tra le intercapedini dell’irrealtà, bambino alle prese con la costruzione di un universo di cui non si ha contezza ma che sa essere, appunto, contenitore universale di impressioni, meraviglie.
Paolo Benvegnù disegna in undici brani (dieci canzoni e uno strumentale) la fenomenologia dell’essere e soprattutto del non essere e fin dal primo singolo, “Pietre”, dichiara che “Il silenzio è la verità”, mettendosi in una posizione ossimorica rispetto a ciò che lui, come autore, è “costretto” a fare, cioè parlare del mondo attraverso le parole.
Ecco che dunque le parole diventano semplicemente il veicolo della propria percezione, che potrebbe essere benissimo la percezione di qualcun altro, e la realtà finisce per essere un qualcosa di assolutamente relativo, legato a come ciascuno la vive e la interpreta.
Esiste davvero una realtà oggettiva? Probabilmente no e Paolo, da straordinario scrittore quale è, si prende undici brani di tempo per raccontarcelo e per dirci che in fondo, l’importante, è saperci giocare con questa realtà e saperne apprezzare gli aspetti più marginali e i dettagli più infinitesimali, che la rendono qualcosa di degno e, a volte, straordinario.
Il corpo diventa un qualcosa di cui si è schiavi (“Altra ipotesi sul vuoto”) e di cui sarebbe bene liberarsi, perché altrimenti ci si può rendere conto che perfino Dio è un corpo che può restare prigioniero nel traffico.
E l’infinito (hanno questo titolo ben tre brani) è, più che un qualcosa a cui tendere nel tempo, un noi in cui racchiudersi, come in uno spazio emozionante e inviolabile, immune al tempo stesso, quello stesso noi di cui è comunque essenziale sentirsi parte, anche se a volte diventa inferno (“Dimmi che sono anch’io nel tuo inferno” canta Paolo in “Infinito Alessandro Fiori”).
In questo lavoro chitarra e voce (di cui “Pietre” è l’episodio maggiormente a sè stante dal punto di vista del suono) Benvegnù racconta l’irrealtà e l’impossibilità cercando di renderle amiche, comprensibili, un gioco per bambini in cui è bello lasciarsi coinvolgere, consapevoli dell’imperfezione con cui lo si andrà ad interpretare.
L’importante, per tutti, è avere qualcuno con cui stringersi in un silenzio complice, mentre questo disco fa da sottofondo.
(Alessio Gallorini)