Esordire nel 1967 e rischiare di essere dimenticati nel 1971, per poi tornare “musicalmente” in vita negli anni ’10, grazie alla stima e alla collaborazione di artisti del calibro di Jeff Tweedy e David Tibet: in breve, è questa la storia di Bill Fay, compositore e pianista inglese che rischiava di restare sconosciuto ai più, dato che il suo secondo disco, “Time of the last persecution”, fu stroncato da pubblico e critica più di 40 anni fa.
Adesso invece Fay è più attivo che mai e ha recuperato un’enorme credibilità (Jeff Tweedy è un suo fan e ha contribuito alla riscoperta interpretando la sua “Be not so fearful” nel documentario sui Wilco “I am trying to break your heart: a film about Wilco”): dal 2012 ha già pubblicato tre dischi con Dead Oceans e questo nuovo Countless Branches, terzo della serie, aiuta a riscoprire il Fay degli anni ’70, un pianista straordinario capace di ballate intime e sofferte, in cui gli arrangiamenti sono curati fino quasi alla maniacalità.
In questo nuovo lavoro le dieci tracce (che diventano 17 nell’edizione deluxe) sono perle tenute da parte negli ultimi 40 anni e che solo ora vengono alla luce con testi e melodie compiute, un lavoro certosino che regala brani struggenti come “How long, how long” o un gioiello di poco più di due minuti come “I will remain here” piuttosto che “Filled with wonder once again”, un capolavoro nella sua semplicità.
Il pianoforte è il grande protagonista e Bill Fay si conferma un virtuoso dello strumento: fine, elegante e mai ridondante nel costruire i brani, ammantati da una vocalità che sa di vita vissuta, ma che non si è lasciata consumare dallo scorrere degli anni.
Siamo di fronte a un fuoriclasse che, fortunatamente, ha saputo resistere alle mode e all’oblio.
(Alessio Gallorini)