A Dublino, in questo momento, c’è un fermento eccezionale dal punto di vista musicale e i più felici devono essere i rivenditori di chitarre: se non vi erano bastati gli esordi sfolgoranti di Fontaines D.C. e The Murder Capital ecco che, a quattro anni dall’esordio, tornano anche i Girl Band, che di queste band sono stati ispiratori e che si confermano portatori sani di riff fotonici e tanta carica, una carica però non violenta e rabbiosa come si potrebbe pensare, bensì una carica ansiogena, claustrofobica, quello stato di psicosi incontrollata che si ha con gli attacchi di panico, di cui infatti soffre Dara Kiely, voce della band e che vengono riprodotti nell’introduttiva “Prolix”, ideale preambolo di un disco che non lascia respirare già con la successiva “Going Norway”: tutto è studiato per risultare dissonante, invasivo, disturbante.
Su un sound così corrosivo, in cui dai synth alle chitarre tutto è metallico e straniante, la voce teatrale di Kiely si innesta come una brezza dall’Artico, con un cinismo da Joker, divertito e sadico allo stesso tempo.
Insomma i Girl Band si riaffermano come i pionieri di quello che possiamo già definire come “Dublin sound”, psicotici capofila di un movimento destinato a raccontare questa generazione disperata e sadica allo stesso tempo.
Li amerete o li odierete, ma non potranno certamente lasciarvi indifferenti.
(Alessio Gallorini)