Dopo “Si vuole scappare”, disco che già aveva fatto spendere per loro parole importanti, tornano i livornesi Siberia: la band di Eugenio Sournia sceglie stavolta di provare ad allontanarsi dalle sonorità new wave che ne avevano caratterizzato gli esordi e di incamminarsi verso lidi più pop, senza mai perdere però d’occhio le radici, come dimostra il primo singolo “Ian Curtis”, un omaggio all’iconico frontman dei Joy Division ma anche un modo per inserirlo in un immaginario nazional-popolare (ne è evocato il mito ma non la figura storica, piuttosto l’influenza sulla crescita di un giovane adolescente voglioso di crearsi uno stereotipo a sua immagine).
Brani come “Mon amour”, piuttosto che “La canzone dell’estate” riescono ad essere catchy senza mai perdere il gusto dei riferimenti più colti o ricercati (da Edith Piaf e l’immaginario parigino a “Guilty Party” dei National, dalla cui ispirazione parte proprio “La canzone dell’estate”), il tutto coniugato con un gusto per la melodia raffinato ma non cervellotico, in cui le chitarre fanno per lo più la parte del leone.
“Tutti amiamo senza fine”, oltre che la title track e la prima traccia del disco, ne è anche la summa a livello concettuale, rappresentando il trait d’union tra tutte le anime dei Siberia e la sintesi di quello che vogliono raccontare in questo disco: l’amore, nella sua crescita ma allo stesso tempo nelle sfaccettature che gli si danno anche contemporaneamente durante una storia (o un semplice incontro), da quelle più mature a quelle più lascive e leggere.
Questo disco è la conferma di una band che sa cosa vuole e che è molto unita nel perseguire i propri obiettivi: un suono riconoscibile, accattivante e che lascia intravedere quel pizzico di ambizione giusta per uscire dai canoni del mondo indie e puntare a qualcosa di più.
I Siberia hanno tutte le carte in regola per essere artisti, come diceva un loro illustre concittadino.
(Alessio Gallorini)