Conosciuta da queste parti con il bellissimo progetto a nome Fabryka Tiziana Felle si dimostra essere molto più di quanto svelato in questi anni grazie al suo percorso da solista che ha portato la musicista pugliese a comporre e registrare il suo debutto solista intitolato Boundaries, su Faro Records (qui il suo bandcamp per acquistare il disco), uscito lo scorso Ottobre.
Tiziana si slega quasi completamente dall’indie pop raffinato dei Fabryka scegliendo un percorso sonoro non immediatamente assimilabile: qua e là si intravedono le sagome trasparenti di Lisa Gerrard e This Mortal Coil, quando le atmosfere si dilatano diventando eteree, mentre elementi elettronici mai invadenti si lasciano condizionare da levigature jazz in cui è sempre la voce di Tiziana a tenere le redini, a dare quello tocco di eleganza e purezza che illumina le composizioni. All’interno dell’album trovano posto diverse preziose collaborazioni, la partecipazione del Quartetto Modus e del maestro Gianni Lenoci, mentre la produzione artistica è affidata a Dario Tatoli (Makai), il mastering invece è di Matilde Davoli. Abbiamo l’opportunità di avere l’intero disco in free download per qualche giorno, lo scarichi dal player in basso, subito dopo l’intervista.
Il disco si intitola “Boundaries” ma conoscendo la tua storia musicale verrebbe da dire che sarebbe stato più appropriato chiamarlo “No Boundaries”. Perché hai scelto di intitolarlo così?
Boundaries parla di confini come luoghi di mezzo, soglie, dove avviene l’incontro fra il sé e l’altro, fra scelte, mondi, generi, sentimenti differenti fra loro. Non un luogo di divisione, ma di osmosi fra diversità. Abbattimento di barriere, quindi, luoghi della non scelta o del confronto per crescere e generare qualcosa di insolito e personale.
Ascoltando i brani dell’album viene fuori una esperienza in cui trasmetti in modo naturale un messaggio di positività. Era questa la tua intenzione?
È molto bello che tu possa leggere questo messaggio positivo. Sia per quanto riguarda le musiche che per i testi ho voluto parlare di differenti stati d’animo, differenti approcci alla vita. Ci sono brani più enigmatici e cupi e brani più “pop” e leggeri per certi versi. Ho cercato di riportare il mio mondo interiore e quello che posso osservare intorno a me in questo lavoro, e senza dubbio in Boundaries parlo di attraversamenti di sofferenze e dei nostri stati di confusione, anche quotidiana, attraverso una spinta positiva e un apprezzamento di tutto quello che ci circonda e che a volte facciamo fatica a riconoscere.
La scelta di un certo tipo di sonorità nei synth mi ha ricordato certa musica che si ascolta durante la meditazione. Cosa ti ha ispirato a scrivere in questo modo ma, soprattutto, che rapporto hai con la spiritualità (o la religione)?
Credo profondamente che la spiritualità sia fondamentale nella nostra vita. Io sono una persona che crede. Non è per nulla alla moda quello che dico, forse avrei potuto dirti che non credo in nulla per avere più popolarità, ma non sarebbe vero. Non riesco a pensare che la nostra vita sia solo qualcosa di pratico e concreto e che non ci sia nulla o nessuno al di fuori di noi stessi, del nostro piccolo/grande mondo e delle nostre piccole azioni quotidiane. Vivere la spiritualità o la religione a mio avviso è un dono grande, che ci arricchisce.
La particolarità del progetto mi ha permesso di legarti a certi mostri sacri quali Dead Can Dance e This Mortal Coil – per il modo etereo di proporre musica e canto – anche se il tuo percorso si sporge forse più verso il jazz. Ci parli delle influenze che hai avuto per comporre questo album?
All’interno di quest’album c’è tanto del mio mondo musicale, delle mie passioni, dei miei ascolti. Potrei parlarne per ore! In Boundaries si uniscono musica elettronica, musica afroamericana e a tratti anche musica classica contemporanea. Quando ero molto piccola io e mia mamma ascoltavamo per ore standard jazz e musiche da film, soprattutto tratte da musical americani anni ’50 e ’60. Crescendo ho amato sempre più le colonne sonore di film e delle nuove serie televisive: ricordo come se fosse ieri quando ascoltai per la prima volta le musiche di Giorgio Moroder e Klaus Doldinger scritte per “La Storia Infinita”, o di Angelo Badalamenti della meravigliosa serie “Twin Peaks”. Ho sempre amato la fantascienza e il fantasy, le musiche di grandi compositori come György Ligeti e Richard Strauss in 2001 Odissea nello Spazio, Vangelis in Blade Runner, le colonne sonore di John Williams… In Boundaries c’è sicuramente tutto questo, ma ci sono anche tanti ascolti di musica elettronica – Apparat, Bjork, Nils Frahm, Arca, Bibio, M83, Lali Puna –, di classica contemporanea – Morton Feldman, John Cage, Bruno Maderna, Steve Reich – e jazz – da George Gershwin a Charles Mingus, da Annette Peacock e Carla Bley a Charlie Haden.
E visto che ci siamo, e abbiamo la rubrica “5songs4…” su YouTube, ti chiedo le cinque canzoni che hanno cambiato la tua vita e il perché.
Ecco, queste sono le domande a cui non so rispondere! Non riesco davvero a scegliere solo 5 brani o composizioni che mi hanno segnata, perché ce ne sono stata tante. Ogni ascolto che ti colpisce si interseca con altri ascolti, che ugualmente rapiscono la tua attenzione per motivi diversi, siano i suoni, la scrittura compositiva, le parole. Queste sono solo alcune delle composizioni che hanno segnato la mia vita e mi hanno traghettato sempre verso qualcosa di nuovo e diverso.
- Joga – Bjork
- Ok Computer – Radiohead
- La Chanson de Maxance – Michel Legrand / You Must Believe in Spring – Bill Evans
- Los Angeles II – Brad Mehldau
- Dinner at eight – Rufus Wainwright
- Ida Lupino – Carla Bley Combo con Karin Krog (voce), Micheal Mantler (tromba), John Tchicai (sax) (live di Hamburg 1972)
- Kool Thing – Sonic Youth
- Fractales Pt.2 – Apparat
- Sabia – Tom Jobim
- Proverb – Steve Reich
- Manon – Serge Gainsbourg
- First song – Charlie Haden
- Mia’s proof – Annette Peacock
- Bailarina – Jan Garbarek, Charlie Haden, Egberto Gismonti
- Clown – Arto Linsday
Entrando più nel dettaglio sui brani, ti andrebbe di presentarceli uno a uno?
Come ti dicevo, Boundaries è una mescolanza di tante cose, e ogni brano riflette un pezzo del mio percorso musicale e di vita. Bells è una vera e propria canzone d’amore, inteso in senso ampio come quel sentimento che è in tutte le piccole cose belle della nostra vita, che spesso neanche riconosciamo. Ci sono pezzi che hanno una filiazione quasi diretta dal mio percorso in Conservatorio: Heavenly ricalca la struttura di un brano da camera per voce e quartetto d’archi, Continuities e Motif nascono entrambe come esperimenti dodecafonici, poi manipolati e arricchiti con gli alti strumenti, The Point è quella con le atmosfere più classiche, perché parla dei punti fermi nella vita e nell’arte, quelle cose che restano oltre le mode passeggere. Open Arms è uno dei brani più “jazz”, dove si sente tanto il mio amore per quella voce e pianista straordinaria che è Shirley Horn. Mark My Words, il singolo, è un po’ una sintesi di tutte le atmosfere del disco. Era estate, nella casa al mare, Daniele in una stanza preparava il recital della sua tesi fra musica dodecafonica e musica tradizionale brasiliana e io nell’altra smanettavo su synth ed effetti, e mi piace pensare che questo miscuglio di sonorità si sia riversato tutto nel pezzo e abbia trovato da solo il suo ordine. They Say It’s Wonderful è forse il brano più pop di tutto il disco: una cover di Irving Berlin, con tutta l’atmosfera sognante dei vecchi musical americani, ma rivisitata con un’elettronica dream pop. Per l’altra cover, Duke Ellington’s Sound of Love, c’è un discorso a parte. È come se fosse un compendio di tutto il mio mondo: Daniele ha scritto un arrangiamento d’archi poetico, perfettamente in linea con l’idea di ballad che avevo in mente, e il tutto è stato coronato dalla partecipazione di Gianni Lenoci, che mi ha regalato una splendida esecuzione e una preziosa improvvisazione al pianoforte. Gianni era un artista a tutto tondo, di uno spessore umano e culturale unico. Non dimenticherò mai l’entusiasmo con cui ha partecipato e mi ha supportata, se questo disco esiste è in buona parte merito suo.
Ti va di addentrarti anche nel video di “Mark My Words”? Ti si vede vestita di bianco vagare in una foresta dai toni cupi, quasi avessi perso la direzione, per poi correre verso una luce e “ritrovarti” scalando una montagna di sabbia bianca.
La montagna di cui parli è fatta di sale, abbiamo girato parte del video alle Saline di Margherita di Savoia e parte alla foresta Mercadante, nel Parco Nazionale dell’Alta Murgia. Tutto made in Puglia insomma 🙂 Mi piace che chi guarda il video non abbia un’idea definita dei luoghi dove si è girato: c’è chi pensa alla sabbia, chi alla neve, anche la foresta potrebbe essere ovunque. Tutta questa sospensione si collega benissimo alla musica. Sono stata felicissima del risultato, Giovanni Labianca ha realizzato un video speciale, proprio come lo immaginavo.
“Mark my words” lo si può leggere in mille modi, ed è questo il bello di un brano o di un video: quello che si vuol dire non corrisponde quasi mai esattamente a ciò che è la lettura dell’ascoltatore o dell’osservatore.
“Mark my word”s può parlare di mondi altri, di passaggi, della volontà di cambiare e di rifuggire da situazioni negative, trasformare la propria vita con scelte diverse, lanciarsi verso qualcosa di ignoto ma luminoso. Molto spesso creiamo in noi stessi delle catene mentali, ci lasciamo sopraffare da pensieri bui. Proprio in quei momenti si capisce cosa significa rialzarsi attraverso una richiesta d’aiuto. La giustezza di una parola, una preghiera, una grande passione come la musica o qualunque altra forma d’arte, un rapporto di amicizia o di amore profondo, un’osservazione più attenta del mondo ci aiutano a guarire e a salvarci dalle nostre piccole e grandi debolezze.
Per quanto riguarda l’aspetto live immaginavo le tue esibizioni accompagnate da visual. Com’è il tuo assetto, cosa porterai sul palco e, soprattutto, quando?
Ci sto pensando seriamente, è una cosa che mi affascina molto. I visual sono davvero tanto usati (forse anche abusati) durante i live in questo periodo, soprattutto in ambito elettronico. Noto però che quando c’è un pensiero artistico attento e profondo, i visual si uniscono alla musica e creano magia sul palco.
L’assetto sul palco per ora varia a seconda delle possibilità. La formazione stabile è in trio: io alla voce e synth, mio marito Daniele Bove piano e synth e Raffaele Stellacci ai synth. Abbiamo già fatto alcuni concerti a Roma e a Taranto con questa formazione, e suoneremo di nuovo venerdì 8 novembre all’Open Space di Corato. Poi, dove la location lo consente, mi faccio accompagnare dalla formazione completa, 10 meravigliosi musicisti: oltre a Daniele e a Raffaele, ci sono anche contrabbasso, batteria, 2 clarinetti e un quartetto d’archi. È un ensemble impegnativo, quindi più raro da portare dal vivo: il prossimo appuntamento in ensemble completo è il 28 novembre, alla Vallisa di Bari, per il Festival di Musica Contemporanea Urticanti.
Poi ci sono altre novità che bollono in pentola, ma su questo non ti dico niente, incrociamo le dita 🙂
(Antonio Capone)