Fermati un attimo. Alza la testa da quel cellulare. Respira. Prenditi tempo. Sei da solo, ma forse non è poi così male piuttosto che sentirsi in compagnia dentro mille chat, no? Ecco, così. Adesso ascolta queste undici canzoni con attenzione.
È esattamente questo il messaggio che lanciano i Wilco con Ode To Joy, undicesimo album della band di Chicago, che esce in coincidenza con i loro 25 anni di attività. Jeff Tweedy, fresco di autobiografia (“Let’s go (so we can get back)” edita in Italia da Sur) e di un paio di dischi solisti torna a farci riflettere dopo gli ultimi episodi non proprio azzeccati a nome Wilco (“Star Wars” e “Schmilco”) e lo fa con un lavoro che richiede tempo e pazienza, due cose che oggi siamo poco inclini a concedere a chiunque, figuriamoci alla musica, in epoca di costante connessione e fruizione mordi e fuggi di ogni tipo di contenuto.
Con “Ode To Joy” (titolo magniloquente che contrasta volutamente col contenuto) siamo lontani dalle vette di “Yankee Hotel Foxtrot” o “Summerteeth”, ma anche da dischi scialbi come gli ultimi due: i Wilco fanno un consuntivo non solo della loro carriera, ma della vita umana, sfruttando la ritrovata lucidità di Tweedy e una band di fenomeni che mai come stavolta si mette al servizio del suo cantautorato: Nels Cline, uno che si è praticamente inventato un suono, per una volta fa la comparsa, lo sparring partner docile di Tweedy e si presta ad un chitarrismo utile più che bello, così come Kotche alla batteria non è lo sperimentatore che avevamo ammirato in passato.
Ed è esattamente questa la forza dei Wilco: il loro amalgama diventato perfetto dopo 25 anni insieme, in cui ognuno si compenetra con l’altro.
Quello che ne viene fuori è un disco che vi entrerà nel cuore solo dopo ascolti ripetuti, quando riconoscerete i momenti beatlesiani (“Hold me anyway”) piuttosto che la forza delle parole di Tweedy (“Quiet Amplifier” negli anni diventerà un classico). La band di Chicago lavora ancora una volta in sottrazione, sempre di più e lascia che sia solo l’ascoltatore più attento ad arrivare ad assaporare quei momenti di assoluta bellezza che ne caratterizzano il suono (“Bright Leaves”, piuttosto che la stralunata “We were lucky”).
Prendetevi il giusto tempo, mandate a quel paese la società per un attimo e ricordatevi quanto era bello ascoltare musica senza avere Spotify grazie ai Wilco.
(Alessio Gallorini)