Ed eccolo qui, il capolavoro: al quarto disco Angel Olsen completa la sua trasformazione in donna e artista matura e sfodera un gioiello di rara bellezza che risponde al titolo di All Mirrors.
Miscelando sapientemente americana e pop, ammantando il tutto con orchestrazioni studiate, ariose e allo stesso tempo pesanti la Olsen ci regala un disco oscuro, un disco che parla di interiorità e lo fa con una poesia e una morbidezza rare (solo i National, recentemente, hanno dimostrato di saper indagare la tristezza e l’oscurità senza risultare pedanti). “Lark” e “Chance” sono i due estremi di un disco che è un cerchio, una foto piena di dettagli sul mondo di Angel Olsen, capacissima in questa circostanza (rispetto anche al precedente “My Woman”, molto più personale) di dare una chiave di lettura che possa risultare universale a sensazioni private.
Tra Beach House (“Lark”), una PJ Harvey ultima versione (quella con orchestra) e suggestioni d’epoca (gli anni ’50 di “Endgame”), la Olsen mantiene sempre un gusto elegantemente pop, basti pensare alla title track, un pezzo attraente e ritmato che la eleva a regina del dark-pop, mentre la successiva “Too easy” è un sussurro alla Daughter su cui si innestano meravigliosamente le chitarre, così da dare al brano una maggior apertura. Se “New Love Cassette” fa pensare ai Soft Cell rivisitati, “What It Is” è uno sguardo (dis)incantato su scenari glam rock.
Insomma Angel Olsen mescola con sapienza gli elementi della sua formazione, condendo il tutto con il suo gusto musicale: l’acerba ragazza di “Unfucktheworld” non c’è più e ha ceduto il passo ad una delle cantautrici più ispirati della scena americana. E chissà che la cara Angel non ci abbia ancora mostrato tutto il suo potenziale.
(Alessio Gallorini)