Whitney – Forever Turned Around (2019 – Secretly Canadian)
Dopo il convincente esordio del 2016 “Light upon the lake“, tornano i Whitney: la band di Chicago formata da Julien Ehrlich alla batteria e alla voce e Max Kakacek alla chitarra sfodera un secondo lavoro accattivante quanto il precedente e più maturo dal punto di vista compositivo, con le atmosfere soft degli anni ’70 che si dipanano lungo le dieci tracce di Forever turned around. Dall’introduttiva “Giving up” si può subito capire il mood rilassante del disco e lasciarsi cullare dalle chitarre, su cui si innesta una batteria vellutata, tappeto sonoro perfetto per i falsetti di Ehrlich. Il disco si muove su queste dinamiche con episodi ragguardevoli come “Day and Night”, su cui è impossibile non lasciarsi andare al sing along, o la title track, perfetta chiusura di un cerchio musicale che ci riporta una band raffinata, elegante ed estremamente affascinante, che sa coinvolgere con il proprio sound ormai caratteristico. Bentornati Whitney.
(Alessio Gallorini)
Grammlò – What? (2019 – la.cura production)
È un fulmine a ciel sereno What? dei Grammlò, band psychofunk del milanese che esce col primo ep. Cinque pezzi che rispondono a una sola regola: “I nostri ascoltatori devono muovere la testa e il culo”. E la regola è rispettata alla lettera dal sestetto prodotto da quel gran pezzo di chitarrista che è il pugliese Leonardo Biccari e la sua Lacura Production. La formula adottata dai Grammlò è abbastanza chiara, i brani sono pensati più per i live che per l’ascolto su disco e si nota come l’approccio della band sia simile a quello che oltreoceano adottano i Vulfpeck, con il groove che comanda su pensieri, parole, opere ed intenzioni. Sono cinque brani quelli che compongono “What?” e credo siano posizionati in ordine cronologico per permettere che dal primo “The Bill” all’ultimo “You Know Nothing”, infarcito di citazioni relative al Trono di Spade, si senta decisa la crescita stilistica del gruppo. Nel mezzo c’è la title track, corredata da un video che narra l’odissea amorosa di uno stickman. Un EP di ottima fattura, che rivela una band molto concreta e stilisticamente interessante, già pronta per la prova sulla lunga distanza. Non ci resta che aspettare.
(Mario Mucedola)
PACO SALA – Our Love is the Gold (2019 – Denovali)
Our Love is the Gold è il terzo album di un misterioso duo (Anthony Harrison e Leyli) collocato fra Berlino e Londra (due capitali musicalmente fondamentali a livello europeo). Da questa unione, geografica e professionale, nascono i Paco Sala che si inseriscono a pieno titolo nel catalogo Denovali (un’etichetta che ricorda un po’ la 4AD dei bei tempi), con un suono tra elettronica e minimalismo pop. I riferimenti più immediati sono sonorità dark-wave anni Novanta e un dubstep rivisitato in stile dreamy (tipo Nosaj Thing, per intenderci); tanto synth, molto ben curati gli effetti e tenue ma piacevolmente incisiva la voce femminile. Nonostante qualche passaggio un po’ meno convincente degli altri (“Minories”, “Slick Henry”) e trame sonore troppo vicine ad un genere celtico che ha – fortunatamente – fatto il suo tempo (“Anya”), il resto dell’album si rivela ricco di suggestioni e del tutto apprezzabile. Consigliato l’ascolto al buio o all’aria aperta.
(Patrizia Lazzari)
Water Tower – s/t (2019 – Sano Sound)
Per festeggiare il 30ennale di attività i Water Tower, storica band ska-punk della scena lombarda che ha diviso i palchi con pressoché ogni band storica dell’ambiente ska italiano, dagli Shandon ai Vallanzaska ai Punkreas, dagli Statuto ai Bluebeaters, si regalano un album decisamente legato alle origini. Otto brani le cui influenze affondano nella storia, tra Elvis Presley e Johnny Cash, finendo per pescare anche nel punk più hardcore. L’omonimo album si compone di otto tracce, una più scatenata dell’altra, dove la chitarra in levare si alterna ad una plettrata ostinata pesantissima per dare più potenza ad alcune tracce, come “Controvento” e “Umano disumano”, tracce in cui più di tutte si evidenzia la perizia in fase di produzione, con la voce che non resta mai soffocata tra gli strumenti restando sempre intellegibile. Un disco tosto e nervoso, che dimostra come ormai la vecchia guardia sia decisamente più rappresentativa della scena rispetto alle nuove leve.
(Mario Mucedola)