Faccio subito ammenda così da togliermi quel fastidioso sassolino rimasto incastrato tra alluce e indice mentre tornavo a casa: le mie aspettative sul concerto di Johnny Marr non erano altissime, temevo di assistere ad una sorta di serata karaoke revivalista dei (suoi) tempi d’oro, assistere ad una sorta di juke box con dentro i pezzi di una carriera costellata da punti altissimi (con gli Smiths), decisamente interessanti (negli gli Electronic assieme a Bernard Sumner) e modesti ma assolutamente validi (i dischi da solista), un live imbastito tipo “An Evening with…” Peter Hook, dove appunto il mitico bassista dei Joy Division sciorinava uno dopo l’altro i pezzi che hanno portato la sua prima band ad essere la migliore nel suo genere ma senza apportare nulla di nuovo, insomma svolgere benissimo il compitino da primi della classe senza però far bruciare fino in fondo l’animo dei fan; stesso deja vù avuto anche qualche anno dopo con i Cure, ma quella è un’altra storia (ne parlai qui).
E invece no! Marr è riuscito a scansare come la peste quel triste effetto di cui sopra e per quasi due ore incanta il pubblico dell’acieloaperto accorso nella stupenda cornice della Rocca Malatestiana di Cesena – lo dirà anche Johnny durante una pausa, evidenziando la presenza di una luna piena che si affacciava da dietro le antiche mura della città malatestiana, venuta a sbirciare il suo concerto -, c’è da dire che la stragrande maggioranza delle persone sotto al palco aspettavano di ascoltare i pezzi che lo hanno reso una stella di prima grandezza (giusto per restare in tema astrale) cui ancora oggi giovani band e musicisti ricalcano i suoi riconoscibilissimi giri di chitarra che hanno riscritto i canoni di jangle, wall of sound, e dato una forma a quello che in futuro sarebbe diventato il brit rock.
Brani infilati con mestiere nella setlist che comprendeva una “Big Mouth Strikes Again” lanciata come una granata in apertura, poi sparse a strappare cuori e applausi al primo accordo “Stop if you think that you’ve heard this one”, l’aria carica di pathos di “Last Night I Dreamt that Somebody Loved Me”, l’instant-classic “This Charming Man” con cui praticamente tutti (anche quelli della security, ne sono certo) hanno iniziato a scatenarsi, e ancora la ruvidità ipnotica della chitarra in “How Soon Is Now” e il finale mozzafiato con “There is a light That Never Goes Out” con tanto di duetto con il pubblico. Ovviamente i brani privilegiati da solista sono stati quelli dell’ultima fatica discografica “Call The Comet” anche se dal pubblico è arrivata a più riprese la richiesta di “Easy Money” (da “Playland“), arrivata quasi in conclusione dello show.
Ad eccezione delle canzoni degli Smiths tutto il resto aveva negli arrangiamenti quel sapore agrodolce e altamente ballabile della Madchester che fu, e che Marr invoca a metà serata quando prepara il terreno per “Getting Away With It”. Non manca di mostrare il suo passato con il frontman dei New Order quando intona “Get The Message” e di lanciarsi in una infuocata versione di “I Feel You” di Depechemodiana memoria il cui giro di chitarra, seppur non proprio nel suo stile, sembra calzargli a pennello.
Alla fine della fiera, e della serata, si ha davanti un musicista che ancora si diverte nonostante sia ormai lontanissimo dagli eccessi di gioventù, un artista (qui è proprio il caso di usare questo termine) che sa come prendere per la gola i propri fan, ammiccando in posa per farsi fotografare con la sua fedele Fender Jaguar customizzata o ballando come se fosse ad un party organizzato da Tony Wilson all’Hacienda, ma soprattutto ancora in grado di gettarsi su un tappeto di fuoco senza paura di ustionarsi nonostante quel passato che gli è croce e delizia. Marr sembra infatti aver fatto pace col suo passato, al contrario dell’altra metà degli Smiths che invece certe volte appare infastidito da quell’ingombrante ma fondamentale gruppo di persone capaci di stravolgere l’establishment musicale inglese, e non solo, negli anni 80.
Marr se la gode invece quella fama senza ostentarla, renderla offensiva o irritante e pazienza se i pezzi degli Smiths sembreranno sempre mancanti di un pezzo, da queste parti si dice “piuttosto che niente e meglio piuttosto”. God Save Johnny Marr (e la sua chitarra).
(Antonio Capone)
Foto: Roberta Paolucci per acieloaperto
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