I Good Moaning intitolano il nuovo disco The Roost facendo riferimento ad un luogo sicuro dove trovare conforto – nel caso degli uccelli ad un posto dove trascorrere la notte al riparo da intemperie e predatori – ed è quella sensazioni che poi ritrovi ascoltando le otto tracce della band pugliese, un nido indiefolk confortevole intrecciato a maglie larghe con sporadici interventi rock, dove le chitarre, quando non sono docili nel costruire armonie eteree, si fanno robuste scippando il posto alle carezzevoli melodie “dreamy”. Un disco che non perde totalmente il vigore e le fiammate presenti nel precedente disco, l’EP “Hello, parasites”, ma che tuttavia ricerca nuove traiettorie sonore trovandole soprattutto nella rarefazione dei suoni, arrangiamenti portati ad uno stato di sospensione, oscillanti tra il sogno e la realtà o meglio come un sogno lucido in cui Sparklehorse dà appuntamento ai Grizzly Bear in un parco, in un mese d’autunno, per ascoltare e suonare insieme i Beatles, ma alla loro maniera.
L’album esce tra qualche giorno, il 22 Febbraio, e noi da oggi per una settimana abbiamo in free download il singolo “suitcase” che puoi scaricare dal player in basso, subito dopo l’intervista fatta al frontman del trio di Bari Edoardo Partipilo.
Siete una band relativamente giovane, come vi siete conosciuti e in che modo avete costruito la vostra personalità musicale?
Suoniamo insieme da poco più di 4 anni e ci siamo conosciuti e trovati abbastanza per caso. In quel periodo avevo cominciato a scrivere un po’ di pezzi chitarra e voce e stavo capendo come dar loro una forma. Poi ho conosciuto Davide, che suonava il piano e si dilettava ogni tanto con la batteria. All’inizio c’era questa insana idea di formare un duo di chitarra acustica e mellotron, poi è arrivato Lorenzo. Il resto è venuto da se, in maniera naturale, provando i primi pezzi a casa di Davide, nel suo “salotto”.
Al di là dell’assonanza con “Good Morning” il vostro moniker sembra prendere ironicamente in giro la perenne infelicità dell’essere umano augurandogli quotidianamente un “Buon Lamento”. A chi è rivolto e come siete arrivati a scegliere questo nome?
In realtà è proprio il gioco di parole fra ”Buon giorno” e ”Buon lamento” che ci piaceva, anche se all’inizio non ne eravamo troppo convinti, per via del fatto che potesse essere frainteso o comunque poco intelligibile, ma alla fine ci siam resi conto che rispecchiava esattamente quello che volevamo fare. Poco dopo abbiamo scoperto che può voler dire anche ”sesso mattutino”, e la cosa ci ha fatto talmente ridere che ci siamo convinti, infatti adesso sarebbe davvero difficile per noi cambiarlo. Ci siamo affezionati.
La bellissima copertina nella sua essenzialità (mi) suggerisce che ognuno, anche chi ha un carapace durissimo, in realtà possiede pure un lato tenero o un punto debole. Poi vabbè io nella parte centrale ci vedo anche una sorta di casco da pilota (ma è un problema mio eh). Perché avete scelto quella illustrazione e chi è l’artefice?
Quando abbiamo iniziato a raccogliere idee per la cover sapevamo di volere qualcosa di semplice e diretto, una specie di ”simbolo”. Cercavamo qualcosa che rappresentasse un posto sicuro, un riparo (anche se nel nostro caso, il ”riparo”, non è del tutto un posto sicuro). Ci siamo imbattuti per caso in questa tavola dei primi dell’ 800 di Ludwig Heinrich Bojanus, e ci ha folgorati.
Il fatto che l’illustrazione fosse datata ha contribuito a dare un aspetto rarefatto e consumato a tutto l’artwork.
L’album inizia con un sospiro: è servito per poter raccogliere le forze e raccontare le storie di “The Roost”?
Il respiro è stato completamente genuino e alla fine lo abbiamo lasciato proprio per questo. A volte mentre sei in studio, i microfoni catturano questi piccoli momenti di semplicità e umanità, che è giusto lasciare, lo rendono, in un certo qual modo ”più personale”. Tutti i brani del disco sono venuti fuori in maniera naturale, come quel respiro. È la parte di gestazione, quella che viene dopo la scrittura, che è più complessa, e nel caso dell’autoproduzione, talvolta richiede tempi più lunghi.
Rispetto al precedente disco si sente che siete cresciuti molto nel songwriting, le canzoni sono più centrate, il suono è ancora più personale. In una ipotetica playlist vi collocherei tra i Grizzly Bear e i Kashmir. Invece voi, se doveste farne una (di playlist), con quali altre band vorreste essere suonati?
Probabilmente sarebbe una playlist molto lunga e variegata. Avere il proprio nome accanto a quello dei Grizzly Bear sarebbe un sogno, così come a quello dei Motorpsycho e di Sparklehorse. Oppure Bjork o i Beatles.
Tra il precedente e questo album è cambiato qualcosa nel vostro approccio con la musica e nella stesura dei brani?
Non so se sia cambiato qualcosa nel nostro approccio, di sicuro più si prova a scrivere e più ci si affina, o comunque si prova sempre ad aprirsi nuove strade. Volevamo che questo disco suonasse sospeso, come se ci si trovasse in una specie di limbo, di dimensione fantasma, in cui ogni tanto però ci sono dei colpi, delle sferzate, delle esplosioni. Tutti i pezzi sono stati scritti in orari molto silenziosi della giornata, tipo il primo pomeriggio o comunque di notte, questo ha sicuramente influenzato le sonorità del disco, anche se poi in fase di produzione e di arrangiamento succede sempre qualcosa che porta sempre tutto in altre direzioni inaspettate e bellissime.
Quali sono i dischi che avete ascoltato nel periodo delle registrazioni del disco?
Abbiamo ascoltato un sacco di dischi diversi: Aromanticism di Moses Sumney, An empty bliss beyond this world di The Caretaker. Molti album dei Microphones e Mount Eerie così come dei Verdena . Replica di Oneohtrix Point Never e, ovviamente, un sacco di Beatles.
Avete scelto “suitcase” come primo singolo, perché proprio questo e cosa potete dirci riguardo la sua genesi?
La scelta del singolo è stata veramente lunga e complessa, alla fine abbiamo scelto Suitcase perché è stato uno dei primissimi pezzi che abbiamo scritto per il disco, perciò ha un valore affettivo di ”lunga data”. La canzone in sé riassume un po’ tutte le sonorità dell’album, è un pezzo molto rappresentativo, in più ci diverte sempre un sacco suonarla. La genesi è stata molto semplice, è come se si fosse scritta da sola, poi una volta portata in sala prove il resto è stato ancora più facile: forse è per questo che ci piace, è spontanea.
Avete concerti in programma?
Le date del tour sono in continuo aggiornamento. La data zero sarà il 22 febbraio al MAT di Terlizzi, insieme ai Be Forest. Per il resto, cercheremo di portare il disco in giro il più possibile.
(Antonio Capone)