Comincio subito col dire che la voce di Aisha Badru è l’elemento che più mi ha attirato ad un primo ascolto sia dell’album di debutto, Pendulum, che della sua produzione precedente (l’EP “Vacancy” del 2015).
È una voce pulita, dai toni discreti e contemporaneamente intensi, un cantato semplice eppure profondo, come le storie che racconta, in perenne oscillazione tra il bene e il male, tra il positivo e il negativo (da cui il titolo dell’album). Ma è grazie alla Volkswagen – che sceglie “Waiting Around” per un suo spot – che il suo nome esce dall’oscurità.
La base compositiva di partenza della singer newyorkese (di padre nigeriano) è la chitarra e la matrice folk-intimista si scopre con più evidenza nell’Ep; ma l’incontro – peraltro solo virtuale – con il produttore britannico Chris Hutchinson porta all’elaborazione di un disco a tratti troppo levigato, troppo edulcorato, con archi e cori che rendono quasi artefatti certi brani, privandoli, in un certo senso, della loro genuinità.
Sì, perché se il talento compositivo della Badru non è ancora giunto a piena maturazione, così come i testi che lei scrive tendono talvolta a scivolare nell’ovvietà, di sicuro quello che la rende un’artista da non perdere di vista è proprio la sua interpretazione.
Confrontare i brani elaborati prima e dopo la produzione (es. “Navy Blues” o la stessa “Waiting Around”) dà il senso, secondo me, della purezza originaria e di quanto si sia perduto in termini di originalità, pur acquistandone indubbiamente in termini di fruibilità del disco in quanto prodotto… ecco, forse un po’ meno attenzione alla forma (leggi: orecchiabilità) e un po’ di più alla sostanza (leggi: originalità) è quello che le permetterà di spiccare davvero il volo.
(Patrizia Lazzari)