Alla fine della prima parte del loro tour, consumato in un mese e mezzo con undici date, mi trovo con Federico Dragogna a parlare del disco e dei live che hanno portato in giro. È evidente, per chiunque l’abbia sentito, che i tre ragazzi milanesi abbiano fatto ancora un passo in avanti.
Dunque, parliamo di “Fidatevi“. Secondo me fino a Per un passato migliore i Ministri sono stati una cosa e poi sono stati altro, quello è proprio lo spartiacque. Sia Fidatevi che Cultura Generale hanno un sound pieno di sfumature musicali più vaste. Sei d’accordo? Che mi dici al riguardo?
Io non vedo una grande differenza. Se devo ricordare un momento in cui mi sono posto delle macro-questioni quello è più che altro dopo Tempi Bui, che fu un disco in cui a livello di scrittura mi divertii a confrontarmi e a scrivere in modo tematico, dove ogni testo aveva una sua inquadratura. D’altronde se scrivi nella vita puoi decidere di intraprendere una scrittura divertita su un certo tema e quindi di insistere su quello. Già dal disco dopo, che era Fuori, invece ho lavorato diversamente e anche la scrittura era molto più simile a come penso le cose anche adesso, era già un disco che si poneva come obiettivo di cercare un linguaggio 0, nel senso di minimo, mi ero staccato dal pensare allo slogan. Non volevo che nei testi influissero le cose esterne del mondo (come poteva essere stato per Briatore o per la base a Vicenza). Tant’è che Noi fuori è andata bene perché si reggeva su queste due parole semplici, rifiutava gli agganci al mondo reale.
Per cui per me il cambiamento è da quel momento poi. Per il resto penso che siano gli ascoltatori che invece stiano, ora più di prima, facendo dei cambi di vita e quindi credono che delle cose stiano cambiando e invece sono loro. Abbiamo diversi ascoltatori che ci seguono magari solo da Cultura Generale e non vengono a sottolinearci questo genere di cose.
Per cui siamo noi ascoltatori vecchi che ci mettiamo sopra una nostra astrazione…
Io credo che, per vari motivi, tra i venticinque e i trentadue anni nella vita si cominciano a fare una serie di bilanci ma che invece di cercare di capire come le cose stanno cambiando dentro pensi che stiano cambiando fuori. E questo è un errore che fanno tutte le generazioni, che poi dicono “ah in questo mondo ormai…” La parola d’ordine è ormai, come se ci fosse una specie di decadimento in tutte le forme; che sia culturale, che sia dei contenuti… ma guarda un po’ se vai a cercare la persona che parla di questo decadimento la trovi in ogni decennio. È qualcosa che si ripete e personalmente penso che siano balle, questo è un modo anche di delegittimare i nuovi giovani dal viversi le loro realtà come gli sono offerte adesso e dire sempre “ah sì, noi ce le avevamo vere”.
Però c’è anche la questione della canzone Fidatevi, fatta uscire come primo singolo. Voglio dire che è l’unica che nel disco quasi ci sta stretta, eppure esce per prima. È stata una doppia sfida perché chiunque abbia sentito quella ha detto “sono tornati i Ministri pieni di cattiveria!” E invece no, ma gli ascoltatori si sono fidati ed hanno ricevuto altro, che poi hanno amato lo stesso…
Ma non saprei, è un discorso che davvero capisco poco. Idioti per esempio per me era un pezzo super aggressivo e invece fa parte di un disco che tutti dicono che non è così. Vai a vedere il nostro primo disco (I soldi sono finiti) e ci sono pezzi come Le mie notti sono migliori dei vostri giorni o altri che non sono esattamente aggressivi, quindi anche qui sono tutte impressioni degli ascoltatori. Quello che è sicuro è che Fidatevi è un pezzo molto spigoloso dal punto di vista armonico, che usa un riff più o meno preso dal trash metal, ed è una cosa abbastanza rara costruire un pezzo del genere in Italia, però per il resto cosa vuol dire un pezzo “cattivo”? Mi lascia perplesso. Come quando ci viene detto di tornare a essere cattivi. A parte che non amo la parola cattivo, non capisco che cosa voglia dire, vuol intendere semplicemente muscolare? Mi sembra una cosa da tifoseria, e lo trovo brutto, paradossalmente noi proprio quando usiamo forme rock più aggressive portiamo testi più morbidi, e viceversa. Vedi per esempio in Fidatevi la frase “tra le piante dell’acquario c’è una stella alpina”, tutt’altro che aggressiva… a noi piace sempre sdoppiare il significato. Allo stesso tempo ci teniamo a non toglierci dalla critica ma a starci dentro, usando la prima persona plurale; è qualcosa che ho sempre fatto perché ritengo fondamentale non stare a criticare da un pulpito ma parlare di qualcosa riconoscendo le proprie responsabilità e anche complicità. Come quando dico vivo in tempi bui e son diventato buio anch’io.
A chi è rivolta Fidatevi? Quando dice “abbiamo nuovi pensieri e nuovi dolori che non potete capire…”
Tutto il testo è essenzialmente rivolto a due genitori. Chiaramente nelle sue astrazioni ed esagerazioni letterarie. Due persone precise, che so chi sono e di chi sono genitori. Sono partito da una conversazione reale e poi l’ho fatto diventare una canzone esagerandola. Parte da una conversazione / litigata fra una ragazza che decide di lasciare il suo lavoro e fare delle scelte di vita forti e rischiose e dall’altra parte i suoi genitori che non capiscono cosa stia facendo. E anche qui mi rendo conto che lo puoi usare in due modi: puoi prendertelo e tenertelo in maniera diciamo superficiale, come un pezzo molto rock che ti gasa, e di cui non capisci neanche tutte le parti del testo e penso che possa andare benissimo così. Altrimenti hai la possibilità, se hai voglia, di approfondirti il testo, e salire nel livello di complessità. Non è che vada meglio una o l’altra cosa, è una scelta o un’attitudine. Diciamo che noi come italiani siamo più portati comunque a soffermarci sul testo a differenza di quanto sia nelle culture anglofone in cui ci si concentra di più sulla parte musicale. Personalmente non posso rinunciare alla complessità del testo, però mi interessa anche che continui a suonare musicale. E mi interessa che preso anche nelle sue piccole parti funzioni e abbia varie letture; tipo In alto i nostri cuori, funziona come slancio, come imput per caricarsi, ma d’altra parte per me è l’espressione che usa mia madre ogni volta che abbiamo avuto in famiglia delle situazioni pesanti o dolorose o faticose. Per cui per me era un omaggio a mia madre, e la cosa buffa che ho scoperto dopo è invece che è anche un’espressione della liturgia cristiana, cosa che assolutamente non sapevo non avendo nessuna educazione cristiana. Quindi questo aggiunge un livello di complessità anche inatteso magari.
Sei d’accordo se ti dico che è un disco cupo? I testi io li trovo molto forti ma anche molto nudi. Non cupo in senso assoluto però ha dei picchi forti, per esempio Spettri che ha dei punti molto vicino a un baratro…
Io tendo alla cupezza da quando sono nato per quanto mi riguarda, quindi è più raro il contrario secondo me. Nel senso che tendo a discorsi e a pensieri sempre molto densi e non ho un altro modo di esprimermi. Sicuramente l’anno scorso sono successe delle cose che in un paio di pezzi mi hanno fatto raggiungere dei punti più bui del solito, però di base è il mio approccio reale. Ma c’è anche da considerare che parte della cupezza è annullata dal semplice mettersi in atto e trasformare questo pensiero in canzone. Ad esempio quando scrivi un pezzo come Spettri, per quanto possa essere buio, e poi ti metti a lavorarci, stai comunque facendo e quindi rendi questa cupezza produttiva e in qualche modo annulla se stessa; già banalmente nel sentire che il pezzo sta venendo bene, questo ti soddisfa e una parte della tua testa comincia a essere felice di quel lavoro. Questo è un po’ il vantaggio e la terapia della musica: anche se parla di dolori, il fatto stesso che la stai facendo è reazione al dolore stesso. E questa è un po’ la storia anche di questo disco, infatti parte dei nodi che c’erano nella mia vita durante la scrittura, ho iniziato a lottare per scioglierli durante la produzione, e per pura coincidenza, una parte degli stessi si è sciolta proprio quando è finito il disco.
Poi dall’altra parte però sento una consapevolezza e una rassegnazione positiva, qualcosa che dice come aldilà di tutto ci sia del bello e che tenersi questa bellezza è un impegno, ma che questo impegno sia proprio l’essenza della battaglia che può essere la vita stessa…
Guarda, io da piccolo venivo chiamato Cuor contento perché sono in generale un ottimista su tutto. Lo sono sempre e comunque, anche nei momenti difficili l’anno scorso, anche nei momenti di scrittura di certe canzoni trovavo sempre più desiderabile il presente, per quanto doloroso, di qualsiasi passato. Semplicemente perché qualsiasi passato era meno vero proprio per il suo essere passato. Qualcosa che a me da gioia è la verità, quindi preferisco sempre la verità per qualsiasi che sia l’oggetto di interesse. Per me è come in Socrate in cui verità = bene, preferisco la cosa vera anche se è più povera. E anche questo è un tema che è venuto molte volte fuori perché come dice Dylan scriviamo sempre la stessa canzone.
Due desideri su tre è riferita a questa pressa misteriosa che ormai è l’industria musicale? E che vuole raccontare di preciso?
Sì e no, in realtà è riferita all’industria stessa. Al modello economico che abbiamo, messo in parallelo col nostro modello di sentire e di desiderare le cose. Sono questi due modelli messi in parallelo e quindi il nostro modo di desiderare anche le persone, gli affetti, che cambia in parallelo al succedersi dei vari Iphone, per capirci. Quella sorta di insoddisfazione non solo costante ma prevista dal modello stesso, esattamente come all’interno dell’Iphone 6 c’è già il desiderio del 7. Un’educazione al desiderio innato. Il desiderio non è qualcosa con cui nasciamo, nasciamo con gli istinti che sono un’altra cosa, il desiderio è una cosa che si insegna. Ogni società insegna come desiderare, la nostra lo sta insegnando in un certo modo e questo ci crea comunque dei problemi, dei rovesciamenti. Poi io in quanto musicista parlo anche dell’industria musicale, quindi mi riferisco anche a quando cercare di resistere a questo sistema è un qualcosa innescato e creato dal sistema stesso; quando anche fare parte delle cosiddette controculture è previsto, quindi prega quanto vuoi davanti al muro del suono, tanto i dischi senza faccia li mettiamo in cantina e qui faccio riferimento in particolare a una grande regola delle major che sostiene che sulla cover del disco ci deve essere il primo piano di chi quel disco lo ha fatto.
Questa te la devo fare. Impressioni di fine tour?
È stato un bel tour, soprattutto sono felice che sia finito con il primo maggio che è una data importante. È stato un bellissimo tour, vedi quel che ti dicevo prima che il presente è sempre meglio di qualsiasi altra epoca; è stato un tour felice, di crescita per noi dal punto di vista di spettacolo e di suono. L’altra cosa è che avendo anche una persona in più, una persona fantastica, e potendo quindi ampliare lo spettro di cosa facciamo, questa estate ritireremo fuori una serie di pezzi che per un motivo o l’altro non abbiamo mai potuto fare perché troppo complessi e poco semplificabili…
Ne hai approfittato per creare “hype” per il prossimo tour...
Ma guarda, in realtà ci stiamo lavorando in questi giorni e siamo contenti di poter dare spazio a cose che non ne hanno mai avuto.
(Serena Lucaccioni)