Nicolò Protto nasce come pianista e nel corso degli anni muta la sua prima passione in quello che poi diventerà la sua attuale figura musicale ovvero un cantautore capace di unire un certo tipo di canzone italiana “d’antan”, quella di Gaetano e Jannacci, ad una inconsapevole modernità, una sorta di cantautorato retro-pop dai testi lucidi e spesso cinicamente ironici. Il suo debutto arriva nel 2018 appunto con la pubblicazione a nome Protto dell’Ep intitolato Di Cattivo Busto, tramite l’etichetta Cardio, che vede la collaborazione di Giovanni “Giuvazza” Maggiore (Finardi, Levante) in fase di produzione.
In occasione dell’anteprima streaming dei cinque inediti dell’album – sotto trovi il player – abbiamo raggiunto il musicista di Tortona per qualche domanda.
Nella tua bio si legge che hai studiato pianoforte fin da ragazzino. Che percorso hai fatto per arrivare al cantautorato pop?
Mia madre è diplomata in pianoforte classico, mio nonno ha dato lezioni di piano e di canto lirico fino al giorno prima di morire. Quella del piano classico era una scelta quasi dovuta: a quattordici anni sono entrato in conservatorio ad Alessandria e ne sono uscito dieci anni dopo, anche se una parte di me rimarrà per sempre intrappolata in quelle aule. Confesso che non è sempre stato facile: il conservatorio è un mondo strano, con regole tutte sue, con un livello di competizione molto elevato e nocivo. Durante quell’odissea più volte sono arrivato a nutrire addirittura repulsione per la musica classica. È stato in quel periodo che ho sentito il bisogno di avvicinarmi ad altri generi il che equivaleva a venire bollati di eresia. Ho così scoperto prima l’America e poi i Beatles: è stato un amore improvviso e fulminante, senza il quale non mi sarei mai messo a scrivere canzoni.
La produzione dell’Ep è stata affidata a Giovanni “Giuvazza” Maggiore. Com’è avvenuto il vostro incontro e in che modo ti ha aiutato (se lo ha fatto) a tirare fuori le canzoni?
Giuvazza e io ci conosciamo da alcuni anni: ci siamo incontrati qualche mese dopo il mio trasferimento a Torino ad una jam session e siamo andati subito d’accordo. Quando ho avuto il materiale per un eventuale EP ho pensato subito di rivolgermi a lui e la scelta è stata azzeccata. Ha arrangiato i brani in una chiave sonora attuale senza mai stravolgere le strutture o alterare il messaggio che avevo in mente, bensì sottolineandolo o esaltandolo con un dosaggio attento delle “spezie” del mestiere. Inoltre devo a lui molto di quello che ora so sul processo che porta alla produzione di un disco e che fino ad un anno fa mi era estraneo.
Metti in copertina il busto con il volto imbronciato di Beethoven e intitoli l’album “Di Cattivo Busto”. Al di là del crossover di generi (la classica con il busto, appunto, e il pop con i colori vivaci) cosa volevi comunicare?
Che ogni tanto una bella siringata di cattivo gusto e di politicamente scorretto ci farebbe bene…
Siamo una società di prime donne permalose, dove ci si indigna, si polemizza, ci si mette l’un l’altro alla gogna mediatica alla prima dichiarazione sopra le righe. Ci prendiamo sempre troppo sul serio, e con i social la situazione c’è sfuggita di mano. Ci siamo trasformati tutti nel vicinato rompicoglioni e ficcanaso di tutti: siamo su miliardi di ballatoi che si affacciano su un enorme interno cortile dove tutti urlano strepitano e si agitano ma nessuno si ascolta più.
Cosa c’è oggi in giro di cattivo gusto?
Spero il mio EP fra pochi giorni (sorriso da pubblicità per dentifrici)
Musicalmente potremmo accostarti, oltre a Jannacci e Gaetano come si accennava qualche riga più su, anche ad un John De Leo in overdose da marshmallow e in trip con l’indiepop 2.0. In realtà a chi ti senti più affine?
Non mi sento molto affine alla musica dei nostri tempi, anche se riconosco che è colpa mia. So scrivere nell’unica maniera che mi è nota, che affonda le radici nei Beatles e nei grandi cantautori italiani e inglesi degli anni 60/70/80. Da un lato pago lo scotto di suonare a volte un po’ retrò alle orecchie di oggi, ma dall’altro ho il vantaggio di essere ancora vergine d’ascolto su stili e generi che non ho ancora approfondito ma che potrebbero far scoccare la scintilla creativa.
In “Basta un colpo di pistola” inviti alla soluzione finale per risolvere tutti i problemi. Davvero il protagonista non ha una via d’uscita migliore?
Quello del lavoro d’ufficio è un vortice che ti risucchia e distorce la percezione della realtà: “Basta un colpo di pistola” è un brano autobiografico, essendo io stesso impiegato, e alcune dinamiche le ho sperimentate di persona.
In un primo momento si indossano giacca e cravatta perché ci si vede belli allo specchio, poi la gerarchia dei valori che abbiamo appreso da bambini, il male e il bene insomma, si sovverte e inseguiamo prima l’indipendenza, poi il successo, poi vogliamo affermarci, non vogliamo più essere sempre gli ultimi…
Ma il secondo è il primo degli ultimi, allora dobbiamo primeggiare, correre, darci da fare, percepire uno stipendio fisso, sicuro e regolare, per poter poi accendere un bel mutuo per comprare una casa dove passare giusto il tempo di cenare e di dormire.
È un’analisi cinica, me ne rendo conto, ma pochi hanno il coraggio e l’avventatezza di troncare questo procedimento perverso. Non ce l’ha il protagonista, che sceglie di non scegliere, e rimpiange tra i mille sogni perfino di non essersi sparato.
In “Dove ti porta” Chiara ce l’ha a morte con te, che messaggio avevi mandato a sua cugina?
La mia dichiarazione dei redditi, per una consulenza professionale. Sono stato frainteso. Da allora, comunque, Chiara ed io abbiamo due bagni.
Nella traccia che chiude il disco i toni si fanno più cupi. Pensi che l’indolenza sia il male di questi tempi? Cosa bisognerebbe fare per uscire da quel mood?
L’indolenza è sicuramente uno dei nostri punti deboli. Tutte le volte che ci rimproveriamo di aver compiuto scelte di comodo, di accondiscendere chissà chi, di non riuscire ad essere mai noi stessi, spolverando delle maschere che in molti casi non ricordavamo neanche di avere. Tutte le volte che ci biasimiamo per non essere all’altezza di sfide che la maggior parte delle volte ci lanciamo da soli, o tutte le volte che ci raccontiamo la storiella che non è colpa nostra, che siamo incompresi e che è il mondo ad essere cattivo e noi le principesse col vestito bianco in un mondo di draghi. È in tutti questi casi che facciamo vincere gli arroganti di tutte le età, i saccenti che hanno sempre la soluzione in tasca e i pieni di sé che portano avanti le proprie mire illudendoci che si tratti degli alti propositi di tutti. La soluzione? Vi lascio il mio IBAN!
Un libro, un disco e un film che ti rappresentano o che vorresti proprio farci conoscere.
Intermittenze della morte di Saramago, Beautiful Freak degli Eels e il Senso della Vita dei Monty Pythons.
Hai delle date dal vivo?
Il 18 maggio al Circolo Arci Sud di Torino, il 19 maggio al Dazibao di Tortona (AL), il 30 maggio al Jazz Club di Torino per il contest “Duel cantautori a confronto” e l’8 giugno la RELEASE PARTY al Magazzino di Gilgamesh sempre a Torino.
(Antonio Capone)