Il progetto musicale Rougge nasce circa nel 2007 ovvero quando il compositore francese inizia a realizzare “frammenti” sonori poi confluiti nel primo disco intitolato appunto “Fragments”. Da quel disco sono passati dieci anni e un altro album in studio (“Monochrome”) in cui pianoforte e voce sono assoluti protagonisti dello spazio occupato dalla musica di Rougge. Nel 2018 il musicista esplora nuove soluzioni sonore inserendo nel prossimo disco in studio anche un quintetto d’archi volto a dare maggiore pathos alle canzoni presenti in Cordes, questo il titolo del terzo album, che arriverà domani 4 Maggio via The Gum Club (qui il pre-order).
Gli undici frammenti inediti (poi tra un po’ vedremo perché tutte le canzoni non hanno un titolo definitivo) hanno una struttura neoclassica ascrivibile alla nuova scuola di compositori che si sono fatti largo in questi anni quali Olafur Arnalds, Nils Frahm, Carlos Cipa o Federico Albanese (giusto per citarne alcuni) ma la peculiarità di Rougge sta nel cantato in cui mescola la liricità di Anhoni (aka Antony Hegarty) alla glossolalia incorporea di Jonsi dei Sigur Ros. Il risultato è un viaggio cinematico intenso e dai contorni drammatici grazie soprattutto all’uso del quintetto d’archi. Da oggi abbiamo in anteprima italiana “Cordes” e ne abbiamo approfittato per porre qualche domanda al compositore francese.
Il tuo album si intitola corde ma in copertina ci sono delle assi di legno. Dove sono quelle corde e perché hai deciso di utilizzare quell’immagine?
In effetti, «Cordes» ha diversi significati in francese. Significa “corde” ma anche “archi”. Quindi il titolo Cordes si riferisce effettivamente a questi strumenti musicali con cui ho collaborato in questo album. “Cordes” è soprattutto un’esperienza umana e artistica con cinque musicisti. Il nucleo del mio lavoro resta focalizzato su piano e voce. Ma oggi mi piace l’idea di fonderla con altre esperienze. “Cordes” è il risultato di una di queste.
Ho usato questa immagine per l’artvwork perché questo è un pezzo di un dipinto che amo molto del mio amico Emmanuel Zentner. È per lo più fatto con carta e colori, ma sì sembra un anche del legno e si potrebbe anche pensare che sia una parte del corpo di un vecchio strumento a corda. E con tutte queste linee orizzontali sento quasi le corde che vibrano dentro…
Perché hai deciso di chiamare le composizioni “Fragments” e come mai non hanno un ordine cronologico?
Canto senza parole, senza alcun significato. In effetti questi sono letteralmente pezzi di musica, frammenti del mio quotidiano suonare e cantare. Li ho chiamati “Fragments” seguiti da un numero seguendo semplicemente l’ordine cronologico della loro composizione. E poi, tra tutti i “Frammenti”, scelgo quelli che voglio registrare e pubblicare. Certo, molti di questi non vedranno mai la luce. Questa è la vera ragione per cui ci sono così tanti numeri mancanti.
Com’è nata la collaborazione con il quintetto d’archi?
Il mio ultimo album solista finiva con una bonus track i cui arrangiamenti erano per violoncello e due violini. Mi è piaciuto molto farlo, quindi volevo andare oltre e scrivere un album completo con un ensemble di archi. E successivamente sono stato molto fortunato ad aver conosciuto questi grandi musicisti.
Nel comunicato stampa vieni paragonato a Thom Yorke, Antony Hegarty, Sigur Ros e Dead Can Dance. Sono tue reali influenze o ti ispiri ad altri musicisti?
Certo, conosco Thom Yorke e la sua musica mi piace tanto. Mi piacciono anche gli altri artisti citati ma in realtà non li conoscevo quando ho iniziato il mio progetto musicale. E può sembrare un po’ strano quando si ascolta la mia musica, tuttavia da giovane ero piuttosto un fan dei Deep Purple, Led Zeppelin e Pink Floyd.
Ascoltando la tua musica è inevitabile non pensare alla colonna sonora di un film. Su quale film ti piacerebbe mettere le mani? (Io ho visto recentemente A Ghost Story e questo disco me lo ha ricordato)
Infatti, molte persone lo dicono. E io confermo. Non c’è nessun film in particolare a cui stavo pensando. Suppongo questo sia un film ancora da realizzare.
Il fatto che utilizzi le voce come se fosse uno strumento e non per raccontare una storia è un fattore di pigrizia, pensi di non aver niente da dire o preferisci che sia l’ascoltatore a decifrare i suoni in base alle sensazioni scaturite dall’ascolto?
Le parole sono estremamente importanti per me. A volte anche troppo. Così ho pensato che la musica potesse essere un modo prezioso per avere tregua da questo flusso permanente di pensieri e consapevolezza… provando a sostituire il tutto con un flusso di sensazioni. Un flusso ristoratore. E penso che ad altre persone possa piacere questo tipo di ristoro.
Porterai dal vivo questo ensemble?
È un progetto principalmente nato in studio di registrazione ma sì. sono certo che potrebbe essere grande (anche dal vivo, nda). I musicisti hanno i loro impegni e sono veramente occupati, così per il momento non c’è nulla di pianificato. Ma chi lo sà… in futuro… se qualcuno ce lo chiederà.
Avrai qualche data in Italia?
Sfortunatamente no, ma se mi invitano…