Come si possono mischiare il ragionier Fantozzi, Kurt Cobain, Lucio Dalla e una festa di compleanno di vent’anni dando coerenza e grazia all’insieme? Si può se la padrona della festa è Cristina Donà. Se Carmen Consoli è la “cantantessa” della canzone italiana, Cristina Donà è stata definita più volte “l’incantautrice”, gioco di parole tra incanto e autrice che le calza a pennello, visto che tutto quello che scrive, mette in musica e porta sul palco è dotato di un’armonia e di una bellezza che non possono che lasciare a bocca aperta.
Non ha fatto eccezione la sua partecipazione al Viteculture Festival, rassegna che si sta svolgendo negli ambienti all’aperto della ex dogana sita nel quartiere San Lorenzo di Roma, uno spazio da anni in disuso recuperato attraverso la musica, dove Cristina, accompagnata dai musicisti Cristiano Calcagnile alla batteria e percussioni, Lorenzo Corti alla chitarra e piano Rhodes, Danilo Gallo al basso e Gabriele Mitelli ai fiati, ha eseguito per intero, a vent’anni di distanza dalla sua uscita, l’album col quale debuttò, quel Tregua prodotto nel ’97 da Manuel Agnelli degli Afterhours – che all’epoca dava luce a nuovi talenti anche senza fare il giudice di X-Factor – e che si meritò il premio Tenco come miglior album di debutto. Da allora, la Donà è cresciuta album dopo album – e la sua scrittura ne è la riprova – ma, siccome le radici sono importanti e, siamo onesti, la nostalgia è una trappola a cui difficilmente ci sottraiamo e le case discografiche lo hanno fiutato da un pezzo, perché non portare di nuovo in giro quell’esordio così bello ed ancora così attuale?
Nella stessa serata, in uno spazio a parte, prima del concerto, ha suonato anche Filippo Gatti, in un’esibizione molto unplugged (non c’era neanche il microfono) a cui il cantante e autore romano si è prestato con – per usare un eufemismo – un certo disappunto. Sul palco principale, introdotta dalla giovane Margherita Vicario, che, accompagnata da due musicisti, in attesa dell’uscita del suo secondo disco ci ha dato un assaggio delle sue composizioni dallo stile tenero e ironico, Cristina Donà è salita verso le 22. Complici il fatto che fosse un lunedì, lo spazio della ex dogana sia enorme e che Cristina, nonostante il suo indiscutibile talento, non sia mai stata seguita da folle oceaniche, il pubblico non era tantissimo ma l’esibizione è stata seguita con attenzione e, per fortuna, senza quel chiacchiericcio fastidioso che ormai inquina la stragrande maggioranza dei concerti.
La riproposizione dei pezzi di “Tregua” non è facile da seguire: già allora risultavano canzoni affascinanti proprio per la loro particolarità. Coi nuovi arrangiamenti, l’effetto è simile a quello di tutti i pezzi amati e ascoltati milioni di volte, che poi, se eseguiti in maniera diversa da quella conosciuta, lasciano un senso di straniamento. Belli ma ci vuole un po’ per poter dire che li amiamo anche in questa veste nuova (la stessa Cristina scherza e, rivolgendosi a Cristiano Calcagnile alla batteria, dice: “Se non vi piacciono i brani fatti così, prendetevela con lui”). La title-track del disco nacque come un omaggio a Kurt Cobain e una riflessione poetica sulla sua morte (“Quanto puoi tenermi qui e quando puoi lasciarmi andare… datemi un po’ di tregua… dal video all’altare, dall’altare al video…”).
Cristina la canta attaccandole una strofa di “All Apologies” dei Nirvana e, sarà stato un po’ di ombretto scivolato via dall’occhio per colpa dell’afa o una lacrima, il suo viso è rigato da una piccola scia di luce che lo rende ancora più intenso. La ex dogana, essendo stata un tempo un punto di snodo importantissimo per merci e persone in viaggio, sorge in un posto molto centrale a Roma, vicinissimo alla stazione Termini, ai tram e alla tangenziale, quella tangenziale che molti conoscono perché il ragionier Ugo Fantozzi, personaggio amatissimo interpretato dall’appena scomparso Paolo Villaggio, in uno dei film della saga la percorreva a velocità folle cercando di prendere il bus in corsa stracarico di lavoratori. Una scena che fa ridere ma è, allo stesso tempo, tragica e che non è mai cambiata nelle vite di molti di noi.
Cristina, evidentemente, se ne ricorda perché tra la sua “Terapie” ed una cover tanto insolita quanto sentita di “Come è profondo il mare” di Lucio Dalla, con voce bassa, facendole perdere qualsiasi sfumatura di grottesco ma rendendo profondamente il senso del dolore di un’umanità che non può più seguire i cicli sonno-veglia naturali perché è costretta a correre da una parte all’altra come un flipper impazzito, recita la scena dei record di sveglia e preparazione al lavoro proprio del mitico ragioniere.
Cristina Donà ha il magico potere, con la sua voce e con le sue canzoni, di non farti sentire solo, di farti capire che quei sentimenti che ti urlano nel cuore lei li capisce perché li prova o li ha provati anche lei, fosse anche solo per empatia. La sua voce è quell’abbraccio che aiuta a sciogliere anche la tensione più dura e il nodo più dolente.
Ecco perché è difficile che, quando in “Dove sei tu” canta “Qualunque sia la distanza, io ti verrò a cercare quando il buio tenta di far risaltare la tua assenza” o quando, sola sul palco, attacca con la chitarra “Universo” lasciando che il pubblico ne canti da solo il ritornello “Dentro a una vertigine che danza e ci porta al di là del tempo, fino a ritornare sulle labbra, l’incanto è lo stesso”, non si righi il viso e no, questa volta non è l’ombretto che cola.
(Marinella Mangione)
Foto: Facebook Cristina Donà Fanpage