Spesso per contestualizzare un disco si usa la formula “Immaginate che…”
Qualora questo incipit dovesse essere applicato ai Black Angels, la formula iniziale sarebbe “Immaginate di esservi calati un trip nel bel mezzo del deserto”. Certo, potrebbe risultare difficile a molti immaginare una situazione del genere ma potrebbesi rimediare mettendo su, appunto, il disco dei Black Angels.
Rock psichedelico direttamente da Austin, TX, possiamo dire che Death Song è un disco suonato quasi tutto col fuzz sul pickup al manico, if you know what I mean, con un suono ciccione e disordinatamente granitico. Un po’ garage, nel senso di grezzo, poco raffinato, ma davanti a brani come “Hunt me Down” l’aspetto di produzione e postproduzione passa del tutto in secondo piano. Il disco tende ad accendersi una volta arrivati al cuore. Dopo un inizio in cui il brano più ritmato è forse “Comache Moon” che comunque non credo proprio superi i 120 bpm, la già citata “Hunt me down” e la successiva “Grab as Much (as you can)” ci rimettono un po’ in pace col mood dell’album, che richiama gli anni ’60 e ’70, soprattutto perché il chitarrista ama giocare con vibrato e rotary per impreziosire il suo sound. “Medicine” invece ci porta anche nella Londra di inizio 2000, con chitarre possenti che finiscono per soffocare la voce già bagnata da troppo riverbero. Scorre tutto tranquillo finché non inizia “I Dreamt”. Provate ad ascoltare questa canzone mentre guardate la copertina dell’album. Se sopravviverete, vi svelerò un segreto: la voce che si sente nel brano non è quella del Re Lucertola ma sempre quella di Alex Maas, quella che avete ascoltato finora.
Un abbraccio mortale, quello che la band rilascia in questo album, sarà difficile, credetemi, fare a meno di ascoltare Death Song almeno una volta al giorno. Maneggiate con cautela, siete avvisati.
(Mario Mucedola)