È uno di quei viaggi che a volte immagini di fare, il coast to coast sull’Highway 61 di Dylan, o la mitica 66 di Nat King Cole e di “Furore” di Steinbeck , o su un treno in viaggio nelle grandi pianure cantando “This land is your land” di Woody Guthrie. E chi non vorrebbe…
Ebbene, Billy Bragg e Joe Henry, diversissimi e forse proprio per questo grandi amici, l’hanno fatto, davvero, salendo sul Texas Eagle, che collega Chicago a San Antonio, in Texas, e da lì poi a ovest, sfiorando il confine messicano, a Los Angeles, passando per Saint Louis, El Paso, Tucson. Un viaggio lungo 65 ore e più di 2,700 miglia, con le inseparabili chitarre, per ripassare, con lo spiritus loci della mobilità, i classici delle railroad songs. Non è un viaggio musicale sulle ferrovie, è la musica delle ferrovie.
“Dire ‘la ferrovia’ è un po’ come dire ‘ovest’, ha un senso immediato e suggestivo di spazio e luce, e la distanza e la speranza, e la paura. La ferrovia è stata una gigantesca tecnologia di trasformazione, fino alla fine della seconda guerra mondiale quando gli americani hanno cominciato a costruire le autostrade. La gente invocava la ferrovia non solo per i viaggi, ma per portare le notizie, il ripristino della giustizia. La connettività di Internet è niente in confronto al cambiamento fisico che è stato portato dalla ferrovia”.
Nessun mezzo ha rivoluzionato la vita dei popoli come l’arrivo della ferrovia, è esploso il mercato e il mondo di colpo è diventato più grande. Le colonne d’Ercole sono traslate lontano, a ovest, oltre l’ultima frontiera. Con tutte le contraddizioni che questo possente mezzo, usato soprattutto dal capitale, s’è portato dietro. Anche il nostro cantore dei miti, Francesco Guccini, dalle isole non trovate, al cavaliere Chisciotte, alla locomotiva, non ha potuto evitare il fascino dei trasporti, fino all’ultima Thule.
Così il combat folk singer Billy Bragg, paladino dei minatori contro la perfida Thatcher, e di tutte le minoranze in difficoltà, e il cantautore produttore americano Joe Henry, hanno impiegato la tre giorni a bordo per rispolverare decine di brani che hanno segnato la storia del novecento, e accompagnato, spesso osteggiandola, la progressione della macchina a vapore e della strada ferrata verso l’occidente.
L’approccio è coerente con l’assunto, le registrazioni sono in presa diretta, nessun intervento a levigare i suoni, si odono benissimo i rumori tipici delle stazioni, i mormorii, i passi, i lontani clamori, i cinguettii, una risata, che non danneggiano affatto le prestazioni, anzi. Le esaltano.
La partenza è piena di speranze con la divertente “Rock Island Line”, dove si poteva evitare di pagare il biglietto solo se si aveva con se del bestiame. Sconosciuto l’autore, John Lomax la registrò in un carcere dell’Arkansas. La fece celebre Leadbelly, e negli anni ’50 lo scozzese Lonnie Donegan, che, con quel pre rock’n’roll chiamato skiffle, influenzò tanti gruppi tra cui anche i Beatles. Sarà McCartney a salvare la produzione del dimenticato Lonnie producendogli un album nel 1977, “Putting On the Style”.
A Chicago la grande scalinata in marmo ha fatto da set alla sparatoria degli “Intoccabili” di Brian De Palma, qui i due registrano “The L&N Don’t Stop Here Anymore” della virtuosa del dulcimer Jean Ritchie, cantata poi da Johnny Cash, una melanconica ballata del 1966 sulla decadenza di terre che, finita la vena di carbone, videro addirittura soppressa la linea ferroviaria: I was a curly-headed baby / my daddy set me down on his knee / saying “Son, you go to school, you learn your letters, / don’t you be no dusty miner, boy like me”. / I was born and raised at the mouth of the Hazard Holler / where the coal cars rolled and rumbled past my door / but now they stand in a rusty row of all empties / because the L & N don’t stop here anymore. (Quando ero un bambino con la testa carica di ricci / mio padre mi mise sulle sue ginocchia / e mi disse “Figlio vai a scuola, impara le scritture. / Non diventare un giovane minatore polveroso come me ” / Sono nato e cresciuto alla foce dell’Hazard Holler /dove le carrozze di carbone rimbombavano passando vicino la mia porta. / Ora se ne stanno lì, in fila, arrugginite e vuote, / poiché la L&N non ferma più qui.)
Da una prigione arriva la famosa “The Midnight Special”, incisa da Leadbelly, i Beatles, van Morrison , e che tutti conoscono per la versione dei Creedence Clearwater Revival. Alan Lomax, nel suo libro “Best “Loved American Folk Songs”, racconta una storia credibile identificando il Midnight Special con il treno che da Houston mandava lampi di luce nelle celle della Sugar Land Prison, dalla strada ferrata alle inferriate, generando malinconici sogni a occhi aperti… e canzoni.
A St Louis i due registrano “Railroad Bill” una bella ballata a due voci sulla storia di un nero diventato leggenda, spietato assassino per alcuni, un po’ Robin Hood per altri, che rapinava in modo cruento i convogli.
“Lonesome Whistle”, registrata nel vagone letto e splendidamente resa, fu scritta da Hank Williams, ispirato, durante una giornata di pesca, alla “Folsom prison blues” di Cash.… Toh, tutto torna. Prigioni, ferrovie e canzoni.
Il tema è infatti ricorrente, il lamento del carcerato che, sul far della sera, più forte sente la malinconia per la ragazza amata quando lontano risuona il fischio solitario di un treno che va. Curiosità, si sente in sottofondo il vociare di uno stormo di merli che si predispone alla notte.
Stilla blues delle origini la bella “KC Moan”, una work song di poche parole e suoni lunghi, che col suo incedere lento consentiva alle chain gang di lavorare a tempo e sopravvivere ancora un giorno.
A San Antonio, Texas, i due viaggiatori sono costretti a fare una sosta, in attesa del treno per Los Angeles, collegamento attivo solo tre volte a setimana. Ma hanno calcolato bene i tempi. In quelle ore Billy Bragg e Joe Henry decidono di recarsi allo storico Gunter Hotel, dove dal 23 al 25 novembre 1936, nella stanza 414 Robert Johnson, il re del blues del delta, con uno studio improvvisato della Brunswick Records, registrò le sessioni finite poi in “The king of Delta Blues Singer”. E dove riescono a dormire i due?
“Johnson ha registrato Sweet Home Chicago in quell’hotel”, continua Bragg. “Così ho pensato che avremmo dovuto almeno andare lì e respirare un po’ di quell’atmosfera. Il treno era arrivato molto tardi, alee2:30 del mattino, ed eravamo completamente esausti. E dannato se non ho avuto la camera 414!. Ho controllato sotto il letto, e nell’armadio per vedere se il diavolo non fosse lì, in attesa, per offrire anche a me quella grande abilità alla chitarra in cambio della mia anima… ma non c’era. Al mattino, davanti a un caffè, ho detto a Joe, ‘dobbiamo assolutamente registrare qualcosa qui.’ E abbiamo registrato lì, in quella stanza.”
S tratta di “Waiting For A Train” di Jimmie Rodgers, già frenatore di treni, che la compose nel 1928, nel pieno dramma della depressione, e descrive con grande poesia la vita solitaria dell’hobo.
“All around the water tank, waiting for a train / a thousand miles away from home, sleeping in the rain. / I walked up to a brakeman just to give him a line of talk, / he said “If you got money, boy, I’ll see that you don’t walk” / “I haven’t got a nickel, not a penny can I show” / “Get off, get off, you railroad bum” and slammed the boxcar door. / He put me off in Texas, a state I dearly love, / the wide open spaces all around me, the moon and the stars up above, / nobody seems to want me, or lend me a helping hand. / I’m on my way from Frisco, going back to Dixieland, / my pocket book is empty and my heart is full of pain. / I’m a thousand miles away from home just waiting for a train.” (“Giro intorno alla cisterna in attesa di un treno, / mille miglia lontano da casa, dormendo sotto la pioggia. / Mi ero avvicinato a un frenatore per chiacchierare un po’, / mi disse: “Se hai soldi, ragazzo, non ti farò camminare” / “Non ho un centesimo, neanche una moneta da mostrare”. / “Via, via, porta giù il tuo culo” e ha sbattuto la porta del vagone. / Sbattuto fuori in Texas, uno stato che amo molto / intorno a me ampi spazi, la luna e le stelle lassù, / nessuno che vuole o può aiutarmi. Sono sulla mia strada da Frisco, ritorno al Dixieland / il mio taccuino è vuoto e il mio cuore è pieno di dolore, / sono mille miglia lontano da casa solo in attesa di un treno.”)
Il passaggio di un treno segna l’inizio di “In the pines”, un traditional, il più antico dell’album, risale infatti al 1870, nelle prime stesure era composto di una sola strofa, la little girl era una black girl, e fino al 1917 sopravvisse in forma orale in più versioni. Ai più è conosciuta oggi l’interpretazione dei Nirvana nell’unplugged alla Mtv, col titolo “Where Did You Sleep Last Night”, ma lì, ormai, ogni riferimento ai treni è perduto.
John Hartford raccontò che scrisse “Gentle on my mind” suggestionato dalla visione del dottor Zivago, in soli 30 minuti, come un flusso di coscienza. Di questo magnifico pezzo fecero un successo immenso Campbell, Dean Martin, Aretha Franklin. Una tenera confessione, alla propria amata donna, di non poter rinunciare a una vita randagia, lungo le strade secondarie, conscio di aver causato dolore per questo, sicuro di amarla come nessuna, consapevole di non poter proprio tornare per un “sempre” bugiardo. Ma ovunque ci sarà sempre lei a scorrere delicata come un fiume nella sua mente.
“It’s knowin’ that your door is always open / And your path is free to walk / That makes me tend to leave my sleepin’ bag rolled up / And stashed behind your couch / And it’s knowin’ I’m not shackled by forgotten words and bonds / And the ink stains that have dried upon some lines / That keeps you in the back roads / By the rivers of my memory and keeps you ever gentle on my mind”. (“E so’ che la tua porta è sempre aperta / E sono sempre libero di entrare / E lascerai che ancora, sotto il divano/possa nascondere il sacco a pelo arrotolato/ E so che non sono costretto da promesse poi scordate / o da qualche scarabocchio secco in qualche documento / se ti tengo, sulle strade secondarie / nei miei fiumi di memoria e ti sento sempre dolce sulla mia mente.
Transitando per Alpine, città che deve la sua esistenza alla sua sorgente, fondamentale per i treni a vapore di un tempo, i due novelli vagabondi hanno registrato “Hobo Lullaby”, scritta nel 1934 da Goebel Reeves, un brano amatissimo da Woody Guthrie che la cantava sui treni mentre vagava per le terre della grande depressione e del dust bowl, insieme alla sua chitarra con scritto su “this machine kills fascists”.
Now don’t you worry ‘bout tomorrow / Let tomorrow come and go / Tonight you’re in a nice warm boxcar / Safe from all that wind and snow / I know the police cause you trouble / They cause trouble everywhere / But when you die and go to Heaven / You’ll find no policemen there. / So go to sleep you weary hobo / Let the towns drift slowly by / Listen to the steel rails hummin’ / That’s a hobo’s lullaby.
Non ti preoccupare del domani / domani viene e dopo se ne va / Stasera sei su un carro merci caldo /coperto da quel vento e quella neve. / Lo so, la polizia ti crea problemi / è causa di problemi in tutto il mondo / Ma quando morirai e andrai in paradiso / non troverai gendarmi almeno lì. / Quindi, vai a dormire che sei stanco,/ lascia alla lenta deriva le città, / ascolta il cigolio delle rotaie / quella è la ninna nanna del vagabondo.
Due ore prima di El Paso il treno transita nei pressi di Creston, Wyoming, dove giunsero i costruttori della ferrovia nel 1868. Il Great Continental Divide è il crinale, le acque a est fluiscono verso l’Atlantico, mentre quelle a ovest scendono al Pacifico. Dopo aver letto un libro su uno sbandato che ha iniziato a lavorare sulle ferrovie nel 1916, Sara Carter ha scritto “Railroading on the Great Divide”, registrata con la carter Family nel marzo del 1952.
La storia di “John Henry” è un esempio di luddismo non violento, un tentativo destinato a fallire di resistenza all’evoluzione tecnologica, al dominio delle macchine, alla svalorizzazione del lavoro umano. Che poi sia davvero esistito questo colosso nero, membro di una chain gang, capace di battere un trapano a vapore con il solo ausilio di una mazza da 12 chili, e di morire poi lì, schiantato dalla fatica, non ha rilevanza. Per anni è stato il rappresentante di una categoria di lavoratori che ha decorato con il sangue e la morte ogni metro della rete ferroviaria americana.
“Early morning rain”, incisa nel 1966 dal canadese Gordon Lightfoot, ma scritta anni prima, quando vagabondando per le strade d’America, era rimasto a guardare arrivi e partenze dalla recinzione dell’aeroporto di L.A, immaginando di poter salire lì, come un tempo su un treno, per volare sopra la pioggia del primo mattino, sopra I guai. Nel brano saluta un’amica che va, un ultimo riflesso d’argento nel cielo blu, a segnare la fine di un’epoca certo di disagio e sfruttamento, di dolore e di fatica, ma che aveva ancora nel primo rischiarare del mattino, la speranza quasi certa di giorni migliori.
Nella registrazione aperta del primo mattino, prima degli arpeggi note, il canto gli uccelli che salutano il giorno.
“And I’m stuck here on the ground / As cold and drunk as I can be / Can’t jump a jet plane / Like you can a freight train / So I best be on my way / In the early mornin’ rain”.
“E io resto sulla pista / Ubriaco e infreddolito / Non si salta su un aereo / Come un tempo sopra un treno / E riprendo la mia strada / Nella pioggia del mattino.”
(Alberto Marchetti)
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