Sono tornati i Nothing con Tired of Tomorrow, dopo l’esordio Guilty of Everything (2014), che li ha lanciati tra le band di maggior successo della nuova ondata shoegaze proveniente soprattutto dagli USA. La band di Philadelphia aveva sorpreso un po’ tutti, addetti ai lavori e non, per la sfrontato revivalismo dell’esordio che colpiva per potenza e compattezza sonora.
Il nuovo disco non esce dal sentiero tracciato un paio d’anni fa, nonostante il ritorno dello shoegaze paia alquanto ridimensionato sia per importanza oltre che per la qualità dei dischi prodotti dalle nuovo leve mai nemmeno vicini alla bellezza dei lavori dei maestri (My Bloody Valentine, Slowdive e Ride). Ora, che i Nothing siano una band capace e degna della notorietà raggiunta è fuor di dubbio, ma “Tired of Tomorrow” non gode dell’effetto sorpresa su cui, a mio avviso, si è retta la fortuna dell’esordio, elemento non trascurabile per la valutazione finale. Si parte con un lotto di pezzi pestati e ben suonati che vanno via via crescendo in qualità fino al pezzo migliore del disco: “A.C.D. (Abscessive Compulsive Disorder)”. Quest’ultima è potentissima, monolitica nel suo incedere tra un bosco di distorsioni sature e una melodia da hit estiva. Differentemente da “Guilty of Everything”, in questo nuovo lavoro c’è spazio anche per ballatine dream-pop al limite del songwriting, come la delicata “Nineteen Ninety Heaven”, pezzo dolce, ma abbastanza innocuo. Il problema principale che emerge già dopo la quinta traccia è che tutto è un po’ troppo uguale a se stesso. Nonostante delle melodie anche azzeccate non scatta quella scintilla che te le pianta nella testa, creando vero interesse e affezione per le canzoni.
Il disco scorre abbastanza lentamente tra altre impennate distorte (“Curse of the Sun”, “Eaten By Worms”) e ballatine (“Everyone Is Happy”, “Our Plague”). La titletrack, posta alla fine del disco, come nel precedente lavoro, è la pietra tombale di un album poco ispirato, derivativo e troppo impersonale per rimanere nei cuori degli ascoltatori, oltre le poche canzoni degne di qualche ascolto.
(Aaron Giazzon)
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