Che i Kutso ci provino gusto a provocare non è certo una novità, dato che chi scrive li accompagna su questa webzine dai tempi di Aiutatemi e con questo spirito irriverente viene presentata “Grazie alla guerra”, zumpa zumpa agrodolce che la band romana ha pubblicato in questi giorni.
Il tema è quello già abbondantemente sciorinato in molti pezzi più o meno recenti, da “Il mio nome è mai più”, del trio infernale Liga-Jova-Pelù, lampante esempio di tre cervelli che insieme ne fanno uno, discreto fino a “Il Mangiabandiere” dei Nobraino, brano indissolubilmente legato allo scalpo di Kruger immolato al palco del Primo Maggio. E oh, si parla di guerra. “Grazie alla guerra” di che deve parlare? Si parla di questo mostro chiamato guerra e dell’ipocrisia populista che fomenta l’imbarbarimento della specie e devia la lettura dei fatti alla luce delle proprie conoscenze, approssimative.
I Kutso li ho visti dal vivo poco tempo fa, e per quanto collocati nel glaciale pubblico di Parma hanno saputo esprimere una prova di qualità e di intensità senza tuttavia farlo pesare all’ascoltatore, mantenendo alta l’asticella del rock ma tenendo alla stessa altezza anche quella del cazzeggio. Per Matteo va senza ombra di dubbio rispolverato il termine “istrionico” per le sue esibizioni ed acrobazie vocali, supportato da una band che magari a volte si veste da cretina ma che quando batte il uanciùtrì si dimostra seria e padrona del palco.
Forse per questo “Grazie alla guerra” lascia un attimo il giudizio in sospeso. Sembra un brano tratto dagli ultimi (discutibili) album di Elio E Le Storie Tese, e sembra strano che ragazzi come quelli di quella di Sanremo ci abbiano tenuto a pubblicare e spingere un brano simile, che li sposta definitivamente sul lato del fiume dove stanno quelli simpatici, a fronte di un argomento tra i più pesanti e ostici possibili. Intendiamoci: sanno suonare, sanno scrivere ma potrebbe non rendersi necessaria la simpatia a tutti i costi.
Non è quindi affatto un brano brutto tout court ma pare non aggiungere niente alla caratura artistica di ‘sti Kutso, un gruppo che ha sempre dimostrato di non avere, in quanto a potenziale, limiti eccetto quello di non riuscire a gettare il cuore oltre l’ostacolo e spogliarsi del personaggio che si sono cuciti addosso, riassumibile nell’assioma social “fa ridere…ma anche riflettere”. Mi auguro che al prossimo eventuale corteo della sinistra unita il camioncino con le bandiere non abbia ancora scoperto questo brano dei Kutso, potrebbero finire condannati sì all’eternità ma nel circolo perpetuo dei diritti d’autore non dichiarati.
(Mario Mucedola)