Debuttano sulla lunga distanza i romani Mary in June e lo fanno con quello che mi azzardo già a definire come uno dei migliori esordi dell’anno: guidati dalla sapiente produzione di Giorgio Canali, in Tuffo i MiJ riescono a condensare la potenza evocativa che già fu del primo Vasco Brondi, descrivendo in modo perfetto e con immagini quanto mai azzeccate e sensibili la vita nella provincia.
I quattro ragazzi si regalano però scenari più simili a quelli dei Fine Before You Came, con le chitarre che la fanno spesso da padrone nei pezzi, esprimendo quella rabbia sommessa che solo chi è costretto a vivere una vita che non gli appartiene del tutto riesce a provare (“Costole”, “Sogni per l’analista”, “Nuova fine” il cui finale è una bomba assoluta); accanto a questa parte più “di pancia” i Mary in June riescono anche a far palpitare il cuore, in brani che ammiccano di più al folk, pur non disdegnando mai le chitarre elettriche: anche il loro è un amore ai tempi del kerosene (come già scriveva qualcuno), un amore romantico, tra fabbriche decadenti e centri storici desolati, uno di quegli amori che ti si appiccica addosso e, per quanto cerchi di scollartelo via, sai che fa parte di te e sei destinato a viverlo in pieno, ad esserne travolto totalmente (“Combustibile”, “Fango” sono due pezzi assolutamente incredibili).
In definitiva la forza dei Mary in June è l’aver curato ogni dettaglio, partendo da una base di talento che già avevano mostrato nei precedenti ep. Che ci si trovi di fronte alla “next big thing” del rock italiano? Diciamo che, dopo aver ascoltato “Tuffo”, io correrei il rischio e direi, certamente sì.
(Alessio Gallorini)
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