Nell’ambiente lo definiscono il poeta del nero, e come dargli torto. Michael Gira e i suoi “oscuri” Swans tornano a “girovagare come anime in pena” nella discografia mondiale del buio lucente con The glowing man, una nuvola densa e minacciosa, nebbie e dolore in un “unicum” crepuscolare e solenne, tra apocalisse, elegie Dostoevskijane e stregonerie post tutto, otto tracce per un ascolto preda a deliri, ossessioni e costernazioni spirituali gotiche.
Un disco di atmosfere più che altro, ma di quelle di valore aggiunto, non una tiritera manieristica che si addolora tanto per farlo, ma un “rimasticare” dentro paure e fragilità da tramutare poi in visioni sciamaniche e melodie ipnotiche, il classico “bel” disco degli Swans che riempie l’orecchio e i neuroni di fantastiche malie.
La voce di Gira è delirante, le musiche pastoie poetiche off e l’andamento lento e diabolicamente infestante, tutto suona di maniacale (“Cloud of unknowing”), mantrico (“The world looks red/The world looks back”), stregato (“Frankie M”), una tracklist ghiacciata e sfumata in zolfo che passa sotto il lettore con la sinuosità subdola di una serpe velenosa (“The glowing man”), ma poi, inaspettatamente, arriva la spensierata sciarada di “Finally, peace” che ruba tutto il male e candeggia l’anima come in una “rinascita” umana.
Questi “cigni” in fondo fanno la loro parte egregiamente, colorano di fosco l’atmosfera ma poi pensano anche a ripulirne qualsiasi traccia, e non è da tutti. Super!
(Max Sannella)