Phoenix Can Die sono due (Mirco Campioni e Riccardo Franceschini), vivono a Bologna e di professione fanno i tatuatori. Ma questo non è il loro primo progetto musicale, dato che in passato hanno militato negli ormai disciolti Rock Destroy Legenda. Il genere nel quale si cimentarono col precedente gruppo era l’alternative-rock-punk mentre l’intenzione di questo nuovo percorso è quella di proporre una musica più ballabile (da club, come recita la loro bio) senza dimenticare però di “pestare” come ai vecchi tempi.
Se il ritmo dance si fonde (e si confonde) con un incedere più marcatamente rock, l’andamento dei brani tende a riproporre schemi già sentiti, senza guizzi. A mio parere questo lavoro manca di coesione in un certo senso, molti pezzi contengono spunti interessanti che però non evolvono in una direzione precisa. Tra i brani più intensi “Artax”, con una potente espressività melodica, “Purple” e “Wasted”, le più incendiarie dell’intero album. Eliminare qualche sintetizzatore (che in alcuni punti pare decisamente sovra-utilizzato), recuperare un po’ di sonorità più “grezze” da levigare, magari, con qualche campionamento, potrebbe tradursi in un sound più alternativo e meno commerciale. Forse potrebbe giovare virare più decisamente sull’elettronica che sul dance clubbing, mantenendo quello speed che ritengo sia il punto di forza dei Phoenix Can Die.
Il tempo c’è, le idee anche, attendiamo prossime e nuove rielaborazioni. Sarebbe un peccato, davvero, che si perdessero tra le masse.
(Patrizia Lazzari)
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