Belli, Giovani e Disperati. Un manifesto generazionale e un grido disperato, quello lanciato da Mario Caporello, compositore, cantante, chitarrista e ideatore della band nata nel 2012, che nel suo nome racchiude molteplici livelli di lettura. C’è il prefisso “e-“, figlio naturale della digitalizzazione dell’uomo moderno e c’è Roy, Roy Keane, indimenticabile centrocampista del Manchester United. Nel complesso ne vien fuori una parola che, tra le tante cose possibili, può essere letta anche all’italiana come e-roi.
E sono proprio eroi postmoderni quelli di cui si parla in questo disco, che segue una genesi di stesura dei testi e pre-produzione durata quasi due anni, e seguita dallo stesso Caporello, che si è occupato anche della scelta dei suoni e dell’amalgama del disco. Disco che si apre con la botta della titketrack, amaro ritratto di una generazione “montata con i pezzi sbagliati”, per un brano che da subito fa annusare la qualità delle restanti tracce. “Illusionista” è invece un gran pezzo che riporta alla mente i primi Litfiba, supportato da un testo fortemente rock’n’roll. Il terzo brano, “Punto zero”, primo singolo da cui è stato tratto anche un videoclip, è un blues dolente, di matrice Negritiana, dall’andamento circolare, coinvolgente.
C’è davvero tanto tanto rock in questo “Belli, giovani e disperati”, con episodi come “Quello che ho da dirti” e “La versione di Barney”, il cui titolo prende spunto dall’omonima opera letteraria di Mordecai Richter. “Credo di conoscerti” invece richiama un po’ i suoni acidi e fuzzosi dei primi Afterhours seppur con una batteria molto Oi! Riuscendo tuttavia a mantenere una coerenza a livello di testi col resto dell’album: storie di vite vissute al limite, in cui anche i sogni e gli orgasmi sono in vendita. Si tira il fiato con “Jane” ma solo apparentemente, poi arriva un ritornello al fulmicotone direttamente dall’America. Sorvolando su alcuni momenti abbastanza anonimi, si arriva alla conclusiva “Ei foo”, chissà che non ci sia una citazione manzoniana in questo brano, anche se emerge prima l’ispirazione ai Foo Fighters, tanto nella struttura quanto nella ritmica.
Si conclude così un bel disco, pieno di sonorità a cui è difficile dare una collocazione “italiana”. E-Roy invece ci è riuscito, perseguendo una strada con convinzione ed originalità, con testi che raccontano qualcosa pur non rinunciando ad un’anima rock dura a morire. E con la musica italiana in agonia, è quasi commovente trovare un album del genere.
(Mario Mucedola)
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