Contrariamente a quanto suggerito dalle prime note dell’omonimo disco d’esordio, Brother & Bones arrivano dall’Inghilterra; colpisce subito la profonda voce di Richard Thomas, che richiama immediatamente quella di Eddie Vedder, frontman dei Pearl Jam.
Il trascinante ritornello dell’opener “Kerosene” non lascia scampo, in un lampo ci si ritrova immersi nel mondo di Brother & Bones, fatto di chitarre acustiche tipiche del folk accompagnate dalle incursioni elettriche di James Willard. Proprio in questo modo la band svela le proprie radici, l’arrangiamento anglosassone di “To be alive” fa da perfetto contrappunto per una riuscita e convincente miscela esplosiva di folk, punk e indie rock; quando arriva la cassa in quarti di “Omaha” non c’è via di fuga, i cori epici profumano di sing-along, ma è in “Raining Stone” che le percussioni di Robin Howell prendono il sopravvento, un attimo prima che il paesaggio si dilati: “For all we know” è la perfetta colonna sonora mentre ci si prende un attimo per ammirare la copertina, il cui gelido paesaggio è subito scaldato dal groove di “Crawling”.
Decisamente più introspettiva e meno incendiaria la seconda parte dell’album (“Everything to lose”, “Dusk”, “Why be lonely”), Thomas esplora morbidi falsetti, tenui sottovoce e abili vocalizzi in cui perdersi è scontato, mentre i trillati e le percussioni di “Back to shore” ci traghettano verso la conclusiva ballata acustica “If I belong”, il cui finale in crescendo con feedback lascia con la voglia di vedere al più presto i Brother & Bones in azione sul palco.
(Tommaso Bandecchi)