Ok che il mercato è bloccato, ok che le strade soniche siano già state tutte battute, ma è altrettanto vero che nel maldestro underground non mancano i talenti e che qualcuno sia disposto a scommettere un qualcosa che non sia una lista di canzonette per squinzie brufolose per fortuna c’è ancora. Un nome a caso? I pisani Venus In Furs, una formazione che cattura istantaneamente con una energia che ti ubriaca di watt e parole, ed eccoli qui con il nuovo disco (il secondo), Carnival, un boombastic elettrificato di undici brani che danno infinite possibilità di gozzovigliare a base di eccellente rock.
Con Verdena, Black Keys e scosse grunge, le nervosità del lavoro è al massimo, una equilibrata, inquieta, ma calcolata gittata di distorsioni, riff, vene turgide e rasoiate rutilanti che sbattono in faccia e negli orecchi la mattanza di un gruppo che suona profondamente, che non immagina, pesta con una impertinenza affilata. Tolta la cover “Prisencolinelsinalciusolol” di Celentaniana memoria, gli stupendi contrappunti Zeppeliani convulsi di “Vieri”, lo shuffle gongolante di “Nazisti”, un Jack White in preda a deliri “Ogni maledetta domenica” e quel rubino di “Giulio”, ballata gigiona e fugace in cui i Venus In Furs tirano fuori la propria anima aggraziata al netto del silenzio delle pedaliere.
Si, una formidabile miscela sonica, con versi pacati nella forma e urticanti nella sostanza. Pura delizia per i vostri timpani.
(Max Sannella)