Quattro irlandesi giovani, cattivi, rumorosi e discretamente alla moda: ecco come si presentano i componenti della Girl Band, progetto post-punk o forse new wave o forse new-gaze all’esordio con Holding Hands with Jamie.
La musica della Girl Band è un intruglio carogna di testi e voce presi direttamente dai Fall, ritmiche e incedere catastrofico provenienti dalla New York degli A Place To Bury Strangers e i suoni o, per meglio dire i rumori, di altra gentaglia d’oltreoceano come Sightings e Neptune.
Nonostante l’utilizzo della più classica strumentazione rock, è innegabile che la chitarra non è suonata, ma picchiata, bistrattata, deturpata e sbeffeggiata attraverso un utilizzo che meno ortodosso non si può (dicono niente le derive più sperimentali di Thurston Moore e Lee Ranaldo?). Basso e batteria ricordano la meccanica ripetitiva della drum machine dei Big Black e, perché no?!, anche dei primi CCCP.
I pezzi non sono canzoni in senso propriamente detto e quindi l’approccio al disco è ostico e disturbante di primo acchito, alla luce anche del fatto che i vari EP precedenti a questo album erano sempre carichi di noise e urlacchi, ma mai la destrutturazione era arrivata ad un livello così alto da minare ogni minimo riferimento alla classica canzone rock. Un’audacia di questo tipo non se la sono permessa nemmeno altre giovani band come gli Iceage. Ciò rende, già di per sé interessante il lavoro, ma, d’altra parte, non permette di comprendere la capacità di scrivere pezzi dei quattro lasciando spazio soltanto al loro spregiudicato rumorismo. Attenzione! Se fossimo in ambienti prettamente sperimentali ci sarebbe ben poco di interessante da segnalare in una proposta che, a parte una produzione lo-fi molto azzeccata, nulla aggiunge dal punto di vista compositivo o comunque non alza di molto l’asticella di altri progetti noise.
Vero è che il fatto di essere un progetto europeo giovane e che si interfaccia soprattutto col pubblico del rock indipendente pone la Girl Band su un piano particolare: o li si ama per l’irruenza e la sfacciata voglia di colpire più a livello sonoro che compositivo o li si può tranquillamente liquidare come un esempio mal riuscito di nuovo post punk, meglio composto e meglio suonato da altri come Eagulls o Lower. Un altro elemento differente rispetto agli EP precedenti, su tutti l’eccellente “France 98” (da riscoprire immediatamente) è un certo gusto garage non per forza osannato o ostentato alla maniera dei Thee Oh Sees, ma omaggiato in maniera schietta e personale nei pochi “riff” comprensibili.
“Holding Hand with Jamie” è, dunque, l’album che non ti aspetti: programmaticamente imperfetto, incompleto, rumoroso e sfacciato. Ti spiazza per la forza delle (non-)trovate compositive, completamente fuori dagli schemi, sconnesse al loro interno e una nei confronti dell’altra. Insomma la Girl Band si presenta alla prova d’esordio su Rough Trade con qualcosa di sicuramente strano, confuso, demolente. Agli ascoltatori la scelta da che parte stare, io per il momento me li godo e speriamo non si abbandonino al decadentismo dark wave che ha ucciso artisticamente gli Iceage.
(Aaron Giazzon)