Da Glasgow con grigiore, gli Admiral Fallow tornano dopo tre anni di silenzio con un disco che segna una forte rottura col passato attraverso la sperimentazione di un processo creativo finalmente organico, compatto e collaborativo tra tutti i componenti. Il frutto di questo nuovo approccio è un lavoro coeso, finalmente non più Louis Abbott-centrico e un po’ meno filo-The National (anche se l’ispirazione è ancora piuttosto leggibile), in più, forti delle esperienze parallele alla preparazione di questo disco, (la partecipazione alla composizione delle colonne sonore per dieci cortometraggi per il Glasgow Film Festival e la collaborazione con la Royal Scottish National Orchestra), l’arricchimento nel sound della band è palese e definitivo.
L’apertura, affidata a “As easy as breathing”, è un avvertimento, ci dice che le cose sono cambiate e verso una direzione epica e profonda. Poi, per il resto dell’album l’atmosfera è permeata dalle vene di pop–rock dal carattere più cupo, con guizzi di batteria new wave (“Good Luck”), calde cascate folk (“Salt”, “Liquor and milk”) e pura britannicità che non si può che amare (“Holding the strings”, “Evangeline”). Purtroppo, il mondo dal consumo veloce che ci circonda potrebbe facilmente bollare questo disco come l’ennesimo disco brit-pop, ma chi conosce questa band non potrà non apprezzare la nuova ricchezza data dagli arrangiamenti orchestrali che si uniscono alle sperimentazioni elettroniche (“Carousel”), dalle architetture pompose dettate dai fiati alla leggerezza e al colore di Sarah Hayes, che finalmente si esprime in libertà e ben oltre le regole della brava e composta back vocalist.
Si perdono le regole del bon ton, ci si scompone un po’, anzi, parecchio. Ma se il tutto si rivela una veste di nuova e matura complessità, comunque sempre fedele a sé stessi, non si può fare altro che gioirne e complimentarsi.
(Carla Di Lallo)