Ci sono band che per qualche strano motivo il nostro bel paese continua a “non cagare” nonostante i continui segnali che ci arrivano dalle scene alternative più disparate (e disperate) d’Italia mentre in radio si spalma letame sonoro, ma non è della mia frustrazione che voglio trattare bensì di una formazione che merita di finire sulle mensole polverose tra i Pavement e i Sonic Youth.
Parliamo dunque dei catanesi Loveless Whizzkid che già si erano fatti sentire all’esordio con un interessante ma discontinuo We were only trying to sleep dando idea di quali intenzioni avessero fino ad arrivare al passo della maturità, raggiunta con i cinque veloci brani di “Name improvements for everyday stuff” che si fa più immediato e libero da fronzoli. Apre “Talking to strangers” con chitarre distorte che rimanderà alla memoria certi Sebadoh d’annata, un brano che si fa erede di un post-punk che suona oggi così “fuori epoca” per l’assenza totale di un qualsiasi ausilio elettronico (tun-cià tun-cià). La bandiera sventolata per i quasi venti minuti è quella della bassa fedeltà ma in “Trigger” si dà spazio a sonorità più rotonde per poi cedere alla sbilenca e quasi psichedelica “Fit for a windy place” in una sorta di cantilena Barrettiana che finirà in una ancora più “storta” jam tra i quattro isolani.
Forti di un sound internazionale e una voce caratteristica, nulla farebbe pensare alle origini dei Loveless che traccia dopo traccia riescono a tenerti incollato senza cadere mai nella noia e quando si arriva alla conclusiva “Home-made messiah” e senti quei riffettoni che fanno tanto Fugazi allora non puoi far altro che sorridere consapevole di aver dato in pasto al lettore il cd giusto.
(Andrea Tamburini)